Sviluppato e pubblicato da Mapledev in sinergia con EastAsiaSoft, Rogue Sentry, a scapito del nome, non è un roguelike ma bensì un twin-stick adventure shoot-em-up in 2D e caratterizzato, oltre che da una difficoltà elevata, da uno stile a 1-bit tutto in bianco e nero. Noi abbiamo preso il controllo del robot sentinella su PlayStation 4 e questa è la nostra recensione. Pronto a salvare l’umanità?
Rogue Sentry e il robot che andò contro tutti i suoi simili
Rogue Sentry non è un titolo che ha come scopo principale quello di raccontare una storia eppure ci prova, nel suo piccolo, offrendo almeno una valida giustificazione per le nostre azioni su schermo. Siamo in un futuro distopico dove l’umanità ha dato così tanto spazio alla robotica e all’intelligenza artificiale da perderne del tutto il controllo fino a soccombere del tutto.
In breve, a dominare sono i droidi in un regime meccanizzato che non lascia spazio all’uomo. Tutto è meccanico, incluso l’eroe di cui vestiremo i panni. Chi siamo noi? Siamo un droide ribelle che si separa dal sistemo, staccandosi dalla sua passiva posizione da torretta di vedetta e decidendo autonomamente di schierarsi al fianco dell’uomo e quindi dei suoi stessi creatori.
Ecco quindi che il nostro obiettivo è abbastanza semplice e intuitivo: rovesciare il dominio delle macchine, soccorrere e proteggere i pochi umani sopravvissuti e portare un rinnovato equilibrio sulla Terra. Dinanzi a noi, inutile dirlo, sono schierate orde di nemici meccanici pronti a crivellarci senza alcuna pietà. Lo svolgimento della trama è quindi affidato al gameplay, alla struttura frenetica e breve del titolo stesso.
Ci ritroveremo a vagare in una fortezza dove ogni cosa vorrà farci a pezzi e contro cui dovremo difenderci a suon di proiettili. Il tutto con una pixel art a 1-bit in bianco e nero che se da un lato crea un gradevole effetto nostalgico, dall’altro dona vita a un caos visivo non indifferente oltre a una barriera estetica difficile da digerire per l’utenza più moderna e abituata al dettaglio.
Da evidenziare infine l’inaspettata presenza di finali alternativi che, seppur non rivoluzionino granché, tentano di spronare a rigiocare un titolo completabile in poco più di due-tre ore. Il problema è che i finali non offrono chissà quale varietà di sviluppo e sono anche discretamente prevedibili. In compenso, insieme, regalano una panoramica discretamente ampia del titolo e anche qualche fugace spunto di riflessione.
Spara, schiva e procedi
Rogue Sentry è un twin-stick adventure shoot-em-up in 2D che non inventa praticamente nulla e che anzi si rannicchia in un gameplay già visto e vissuto in altri suoi congeneri. La forza del titolo è da riscontrare in un livello di difficoltà discretamente elevato e che offre una serie di sfide da non sottovalutare. In Rogue Sentry si muore spesso e questo può portare a un’inevitabile frustrazione.
Frustrazione riscontrata soprattutto nel numero di nemici e relativi proiettili che vanno a riempire le varie aree di gioco a cui si sommano scontri sempre più intensi e frenetici (boss inclusi) e anche trappole ambientali di vario genere. Anche qui, nulla di originale ma la struttura ludica del titolo si difende abbastanza bene. A tal proposito, esplorare il mondo di Rogue Sentry è molto intuitivo.
Si tratta essenzialmente di un’unica area suddivisa in micro aree interconnesse da percorsi che, in alcuni casi, sono da liberare. Lo scopo, oltre a intercettare e salvare eventuali umani prigionieri, è quello di massacrare i nemici a suon di proiettili cercando di schivare gli attacchi altrui. Come da prassi, essendo le armi a distanza la priorità dei nemici (oltre che nostra) ben presto si crea un inferno di proiettili monocromatici da cui è sempre più difficile emergere incolumi.
Grafica e sonoro
Graficamente parlando, Rogue Sentry o si ama o si odia. Il titolo punta ferocemente al mondo retrò con una pixel art a 1-bit estremamente minimalista, povera di dettagli e che in caos di scontri caotici e con più nemici, crea anche una discreta confusione visiva. Nulla di troppo grave ma i meno avvezzi al genere e a questo tipologia di stile, non troveranno molti motivi per rimanere.
Discorso diverso per il sonoro, qui rappresentato da una colonna sonora in chiptune accattivante seppur, ancora una volta, non molto originale. In compenso, la ripetitività non diventa opprimente ma anzi, accompagna tutta l’esperienza in modo convincente ed efficace. Da segnalare, infine, la totale assenza della lingua italiana anche se la mole di testi a schermo è molto ridotta e di facile comprensione.