C’è stato un momento storico nell’industria videoludica dove il livello di difficoltà generale di molti titoli era pericolosamente settato verso il basso. Questo momento in particolar modo va collocato nella scorsa generazione di console, nella quale portare a termine certi giochi era complessivamente una passeggiata. Ad esempio nel reboot di Prince of Persia non era prevista nemmeno la morte o in New Super Mario Bros. 2 per 3DS si potevano raccogliere una quantità praticamente infinita di monete (e di conseguenza vite) da renderlo quasi noioso. È chiaro che soprattutto in certi generi essere fin troppo “accompagnati” rende l’esperienza alla lunga poco stimolante.
Poi è arrivata From Software con il genio di Hidetaka Miyazaki che in tempi non sospetti pubblica su PlayStation 3 Demon’ Souls, una sorta di action RPG che spiccava non solo per il suo innegabile fascino, ma anche e soprattutto per un livello globale di difficoltà decisamente più alto della media di quel periodo. Il titolo, nonostante ciò, ottenne un buon successo dopo una ovvia fase iniziale piuttosto tiepida. Tuttavia è solo con Dark Souls che il brand ottenne quel boost importante non solo in termini di vendita spicciole ma anche di popolarità, dando il là a un vero e proprio genere, quello dei Soulslike. Punitivi e impegnativi, i titoli From Software richiedono molta pazienza e dedizione, tratti ormai distintivi della produzione di questa talentuosa software house.
Ovviamente l’annuncio di Sekiro: Shadows Die Twice fu accolto con grande clamore da tutti quei giocatori (sempre in numero crescente, per fortuna) che hanno affrontato i vari Dark Souls e Bloodborne in maniera impavida, traendo da essi delle esperienze videoludiche assolutamente appaganti e coinvolgenti. Fughiamo subito un dubbio qualora non aveste ancora acquistato il gioco: anche Sekiro è molto impegnativo, a tratti crudele. In alcuni punti specialmente non vi basterà un pomeriggio per venirne a capo, esattamente come ci si potrebbe aspettare da un gioco targato From Software. Tuttavia, le similitudini con Dark Souls e seguiti sono molto poche, questo perché Sekiro: Shadows Die Twice ha insite al suo interno delle meccaniche sensibilmente diverse (e sotto certi aspetti migliori) delle precedenti produzioni poco fa citate. Qualche somiglianza si trova qua e là, ma sembrano più dei tratti distintivi che paiono avvisare il giocatore sul fatto che sì, Sekiro è una produzione di “quelli che fanno i giochi difficili”.
Salta, corri, schiva e attacca
Per comprendere quanto Sekiro: Shadows Die Twice sia differente nel gameplay e nell’approccio generale è sufficiente analizzare le possibilità di movimento del nostro protagonista, uno shinobi del Giappone feudale che si ritrova sconfitto e senza un braccio dopo una cruenta battaglia all’arma bianca contro il boss del clan Ashina. Questa imprevista invalidità rappresenta l’escamotage grazie al quale un misterioso aiutante offrirà la propria esperienza per implementare al posto del braccio sinistro una sorta di protesi che come caratteristica principale ha quella di essere un rampino, grazie al quale il gameplay di Sekiro acquisisce ampio respiro. La possibilità di “svolazzare” per tetti e rami sporgenti laddove previsto (esattamente dove apparirà un’icona verde) consente di donare al giocatore tante possibilità di “verticalità” che nei Souls era impensabile. Arrampicarsi col rampino vi permetterà non solo di fuggire più agevolmente da alcune situazioni “ingarbugliate”, ma ha anche consentito a From Software di creare delle ambientazioni mai troppo estese e comunque capillari, fatte di scorciatoie, luoghi segreti e oggetti ben nascosti, consegnando al giocatore un level design ad ampio respiro e nel complesso estremamente soddisfacente.
La protesi del protagonista non ha comunque solo la funzione di rendere lo shinobi una sorta di nuovo Batman ma, tramite l’installazione di alcuni particolari marchingegni che scoveremo progredendo nell’avventura, il nostro fido fabbro renderà la protesi anche un’arma “alternativa” tramite l’utilizzo di asce, shuriken, lance, ecc, potendo anche migliorare, tramite upgrade, i potenziamenti che abbiamo implementato precedentemente. L’utilizzo sapiente del braccio meccanico in alcuni frangenti può rappresentare una via di fuga non indifferente. Dopo aver avuto a che fare con svariati nemici o boss che inevitabilmente ci avranno ucciso (perché sì, in Sekiro si morirà molto spesso, anche se avete platinato tutti i titoli From Software), capiremo perfettamente quale strumento ci può all’occorrenza far comodo per risolvere la battaglia.
E a proposito di morte, a questo punto vi sarete chiesti quali siano le conseguenze di essa. A dispetto dei vari Dark Souls, qua non esistono dei veri e propri punti di esperienza (o anime). Quando si sconfigge un nemico, si riempirà progressivamente una barra azzurra (oltre all’ottenimento di soldi e di tanto in tanto qualche oggetto), la quale ci donerà un punto abilità ogni volta che sarà divenuta piena completamente, punti che potranno essere spesi per ottenere migliorie passive o nuove mosse per migliorare il combat system. Ogni morte corrisponde a un dimezzamento sia della suddetta barra che della quantità dei soldi (Sen) accumulati fino a quel momento, salvo apparire il cosiddetto Aiuto divino che, in maniera totalmente casuale, permetterà di non avere alcun malus. Dal menu dell’inventario è possibile verificare la percentuale di probabilità che questo prezioso aiuto appaia. Partendo dal 30% tale valore sarà destinato a diminuire perché la meccanica che consentirà di risorgere dopo una morte, attingerà dal sangue dei personaggi che popolano Ashina, i quali inevitabilmente finiranno per ammalarsi. Sarà dunque necessario curare questa malattia (Tosse del drago) con un particolare oggetto che troveremo a un certo punto del gioco al fine di ripristinare il valore iniziale dell’Aiuto divino.
Alzati e cammina
Si può quindi risorgere come accennato poco fa rendendo dunque ogni morte tuttavia non definitiva, dal momento che si ha a disposizione una Resurrezione e che potrà essere ripristinata accumulando uccisioni oppure eliminando un avversario silenziosamente. Già, perché menare fendenti rappresenta il modo più divertente e appagante per abbattere gli avversari, ma in Sekiro: Shadows Die Twice spesso e volentieri è consigliabile rimanere silenziosi magari in mezzo all’erba alta oppure sgattaiolando sopra tetti o arrampicandosi tra le insenature. Un indicatore sopra la testa dei nemici ci farà capire se ci stanno osservando, anche se a onor del vero da questo punto di vista l’IA non è certo eccelsa. È possibile comunque ripulire una zona o una strada intera semplicemente con l’uso del silenzio, per una sgozzata clamorosa e definitiva, con la regia che zooma l’atto di uccisione.
Il cuore del gameplay è rappresentato ovviamente dal combat system, che nonostante l’assenza di equipaggiamento riesce ad essere comunque vario e profondo, soprattutto se mano a mano consentiamo al protagonista di sbloccare nuove mosse. Il nostro alter ego è rapido, agile, possiamo saltare e schivare con maestria (per fortuna niente barra della stamina). La sensazione di velocità è eccellente, senza dubbio da questo punto di vista un passo avanti rispetto alle precedenti produzioni di From Software. Il fulcro sta nella parata, poiché Sekiro affianca alle barre dei punti vita un ulteriore indicatore per la postura. L’obiettivo dunque sarà parare al momento giusto per parare icolpi dei nemici, indebolire la loro postura per poi affondare il colpo. Tale azione rappresenta il concetto di base anche per quanto concerne alcuni boss. Tuttavia, le possibilità di schivare al momento giusto e saltare non vanno assolutamente messe da parte a priori, specie contro quegli avversari che sono rapidi o che non utilizzano spade (e in casi come questi probabilmente suderete il doppio). A queste sono legate alcune particolari abilità chiamate Mikiri che sono pensate per schivare un affondo nemico quando compare un simbolo rosso sopra la sua testa.
Il combat system si è dimostrato assolutamente profondo ed efficace e tutto quanto esclusivamente con il solo utilizzo della katana. From Software ha progettato un sistema di combattimento vario e con svariate possibilità di approcci. Ogni scontro è un’esperienza, sia che si tratti di un avversario ordinario che di un boss all’apparenza indomabile. Abbattendoli (perlomeno per ciò che riguarda i boss principali) guadagnerete un Ricordo che vi consentirà di aumentare la forza. Alcuni boss secondari invece consegneranno dei grani di Rosario e che quattro alla volta consentiranno di incrementare la vitalità. Un altro pregio di Sekiro: Shadows Die Twice è anche proprio questo: poco equipaggiamento, poche statistiche. Il tempo passato nell’inventario o in generale a fare calcoli per fortuna è molto poco, si gioca, si muore e basta.
Sekiro: Shadows Die Twice è dunque un titolo perfetto? No. Per esempio ho trovato un po’ frustranti alcuni picchi eccessivi di difficoltà. Molti boss risultano complicati non tanto per il nemico in sé, ma perché attorno ad esso esiste un agglomerato numeroso di scagnozzi, spesso anche impegnativi, rendendo il tutto decisamente punitivo e a tratti frustrante. Anche il comparto tecnico ha qualche magagna di troppo soprattutto il solito fastidioso difetto dei titoli From Software dei colpi effettuati con un muro in mezzo e anche qualche calo di frame rate. Per fortuna, visivamente Sekiro sfiora picchi molto elevati grazie ad alcuni scorci emozionanti e una direzione artistica di primissimo ordine.
Sangue e ancora sangue
Il titolo di From Software è nel complesso un titolo decisamente impegnativo, per via di alcuni boss davvero coriacei, cattivi e affamati. Il roster dei loro attacchi è spesso vario e saranno necessari tantissimi tentativi e parecchia dedizione per buttarli giù. Un livello di difficoltà piuttosto alto che rende Sekiro un titolo non certo adatto a chi cerca una sfida accessibile. La soddisfazione che riesce però a dare è impagabile, perché le sue meravigliose meccaniche e il level design complessivo ti spingono a non mollare mai anche quando l’ostacolo sembra insormontabile, grazie anche a una ispirata Giappone del 1500 con laghi, cunicoli, castelli, roccaforti o colline innevate. Il comparto narrativo, sebbene piuttosto criptico da tradizione (questo sia per ciò che riguardano sia gli eventi narrati che l’origine del protagonista), viene sviluppato con bellissimi filmati, nonostante i dialoghi con i personaggi non giocanti siano poco incisivi a causa di animazioni praticamente inesistenti. Nessuna critica al sonoro invece, considerando che le musiche del gioco sono sempre molto ritmate e perfettamente in linea con l’epoca storica e con l’ambientazione. Gli effetti sonori derivati dai colpi di katana sono piacevoli, che sia una parata oppure il frangente nel quale si spezza la carne nemica. Solo un piccolo appunto riguarda il doppiaggio in italiano, come spesso accade, piuttosto rivedibile. Avrete comunque la possibilità di attivare il doppiaggio in inglese o addirittura quello giapponese per un senso di immersione completo riguardo il tipo di scenario proposto dal titolo From Software e Miyazaki.
Sekiro: Shadows Die Twice è insomma un’avventura meravigliosa che vi porterà via all’incirca 40 ore di gioco solo alla prima run, sapendo che esistono ben quattro finali differenti in base a come giocherete e con quali personaggi vi alleerete. Difficile, a tratti ostico, vi prende con forza inaudita e vi sbatte a terra come un pugile ferito. Però quando poi la vittoria arriverà (perché prima o poi arriverà) le soddisfazioni saranno parecchie.
Ottima recensione. Nulla da controbattere su nessun punto. Ci sto giocando e non l’ho ancora finito. I picchi di difficoltà assurdi sono comunque in parte giustificabili dal fatto che From Software si è spinta oltre. Ricordo i tempi di Demon’s Souls in cui non si era abituati ad una tale difficoltà. Felice del fatto che abbiano inasprito le cose con Sekiro. Dal mio punto di vista il voto poteva anche superare il 9