Il genere horror è stato uno di quelli più amati dal mercato indie e, ormai è chiaro, si presta particolarmente agli streaming, dato l’alto numero di momenti divertenti che possono venire fuori da una partita: vedere una persona urlare contro un mostro apparso da un angolo buio ha qualcosa di sadicamente piacevole.
Il gran proliferare di produzioni di questo tipo, però, non vuol dire che tutte siano valide. Anzi, sono pochi gli horror davvero degni di nota e ancora meno quelli originali. Tra questi, spicca sicuramente Shadow Corridor, che si distingue per l’ambientazione peculiare e per alcune meccaniche uniche.
Il titolo parte infatti da una premessa ormai già vista e apprezzata: impersoniamo un protagonista indifeso, costretto a fuggire da creature imbattibili. In puro stile Amnesia o Outlast, quindi, dagli orrori si può solo scappare e nascondersi, senza mai sperare di poterli affrontare davvero. Questo porta a un senso di tensione costante, che non abbandona mai il giocatore.
Nonostante il contesto possa avere un sapore di “già visto”, in realtà il setting in cui tutto si svolge è decisamente originale, dato che ci proietta dritti in una dimora orientale, con mostri e creature ispirati dal folklore giapponese. Vediamo quindi se vale la pena perdere qualche notte di sonno tra i labirintici corridoi di Shadow Corridor.
Una storia narrata poco alla volta
Shadow Corridor propone una storia senza troppe pretese che, però, riesce a essere comunque interessante. Tutto inizia quando un uomo decide di esplorare un vicolo sconosciuto, spinto da uno spirito d’avventura e da un senso di scoperta. Dopo essere passato da vari vicoletti e cortili, però, il protagonista vede un gatto nero e, seguendolo, si ritrova catapultato in un mondo surreale.
I vicoli sono scomparsi e al loro posto c’é solo un’inquietante villetta orientaleggiante. Senza nessuna via di fuga, l’uomo entra nel misterioso luogo, cercando un modo per lasciare questa dimensione surreale. Le sale della struttura, però, sono abitate da strane creature, tutte con intenzioni ostili.
Partendo da questo incipit, Shadow Corridor ci narra una storia dalle tinte cupe, che ci permette di ricostruire il passato degli antichi proprietari del castello e della maledizione che aleggia sulla struttura. Il tutto è interessante, ma resta comunque secondario e frammentato, dato che è affidato completamente a frammenti scritti sparsi per i livelli.
Una fuga diversa ogni volta
Il gameplay di Shadow Corridor si distacca un po’ dai classici del genere e, pur proponendo alcune meccaniche già note e rodate, riesce comunque a spiccare per originalità. Questo grazie a una struttura che combina sapientemente la generazione procedurale di livelli e oggetti con una progressione lineare.
In pratica, Shadow Corridor è diviso in livelli ben definiti, tutti con un obiettivo ben preciso da dover raggiungere per passare a quello successivo. La struttura di questi livelli, però, muta ogni volta, così come cambiano la posizione di creature e oggetti. Tuttavia, questa generazione non affida tutto al caso: ogni scenario ha sempre dei limiti imprescindibili, come gli obiettivi da raggiungere o la presenza di determinati ambienti.
A questo poi si aggiunge una meccanica simile a quella dei roguelite: morire significa perdere un Magatama, oppure ricominciare tutto il livello da zero. Quest’ultimo, però, sarà generato casualmente, creando un’esperienza completamente diversa.
Il risultato è un gioco horror atipico, che basa tutto il suo gameplay sulla fuga dalle entità che abitano gli scenari, escludendo quasi del tutto gli enigmi ambientali. Data la natura estremamente punitiva del game over, la presenza delle creature crea tantissima tensione, che raggiunge il culmine nei momenti più concitati.
La parte puramente survival, a sua volta, è affidata alla raccolta di oggetti, anch’essi sparsi in modo casuale per i livelli. Esplorando le varie stanze, infatti, è possibile imbattersi in consumabili di ogni tipo: torce, petardi per creare diversivi, specchi che teletrasportano, macchine fotografiche per stunnare i nemici e molto altro. Si aggiungono poi degli oggetti passivi, che permettono di recuperare stamina, scampare dalla morte o altro.
In alcuni casi potremmo addirittura chiavi monouso, da utilizzare per aprire alcune stanze chiuse. In pratica, un classico degli horror riproposto in chiave randomica.
Di base, il gameplay si riduce all’esplorazione di scenari generati casualmente e immersi in un’oscurità quasi totale. L’obiettivo di questa esplorazione può essere quello di arrivare dall’altro lato del livello ancora vivi, in alcuni casi dovendo capire cosa fare, oppure quello di recuperare alcuni Magatama da offrire a un altare per poter proseguire. Chiaramente, tutto questo cercando di evitare i mostri che abitano gli scenari.
Questi ultimi hanno un’ottima IA e tendono a inseguire il giocatore basandosi sulle luci o suoi rumori. Diventa quindi fondamentale sapere quando correre, quando camminare furtivamente e, in certi casi, addirittura spegnere completamente le fonti di luce. Le creature cercheranno sempre i luoghi dove hanno visto o sentito qualcosa e, di conseguenza, il modo in cui il giocatore si muove fa tutta la differenza.
Come già accennato, il protagonista è sostanzialmente indifeso contro le entità che si muovo per gli spettrali corridoi dei livelli: l’unica possibilità di contrastare le varie presenze è data solo da oggetti che permettono di scappare, senza arrecare mai un danno vero e proprio.
La generazione procedurale, però, ha anche qualche difetto: in alcune partite è capitato di vedere diversi mostri estremamente vicini tra loro, rendendo praticamente impossibile muoversi senza essere visti o sentiti, tramutando quindi la tensione in frustrazione e poi in noia. Per fortuna, però, questo accade poche volte e solitamente la generazione dei livelli offre degli scenari davvero interessanti.
Un altro limite della generazione procedurale è dato proprio dalla casualità del reperimento di oggetti: in alcune partite può capitare di trovare troppi oggetti utili (come le macchine fotografiche, che permettono di stordire) e, di contro, può succedere di non rinvenire mai degli oggetti chiave, dovendo esplorare in lungo e in largo lo scenario.
Shadow Corridor è quindi un’esperienza atipica, che si distacca dalle altre per la sua randomicità. Questo, però, porta sia punti forza, che di debolezza, entrambi legati a doppio filo con la scelta di utilizzare la generazione procedurale come elemento cardine del game design. Parliamo quindi di un bilanciamento tra pregi e difetti che necessariamente si poggia sui gusti individuali e su quanto si possa digerire questa struttura.
Da parte sua, il gioco offre comunque un’esperienza di qualità, dove la tensione resta costante dall’inizio alla fine, grazie alla sapiente combinazione di ambienti claustrofobici, creature intoccabili e un game over decisamente punitivo.
Luci e ombre della parte estetica
Il comparto tecnico di Shadow Corridor è buono, ma non eccellente. Ambienti, oggetti e creature non sono troppo dettagliati a uno sguardo attento ma l’assenza quasi totale di luce contribuisce a creare un colpo d’occhio complessivamente soddisfacente. Le animazioni sono invece altalenanti, con alcune creature in grado di incutere timore e altre dai movimenti fin troppo macchinosi. Al contrario, pesa l’assenza di animazioni del protagonista, assenti persino per oggetti di uso frequente, come l’accendino o la torcia.
Il comparto artistico è invece degno di nota, grazie alla scelta di ambientare il gioco in un mondo chiaramente ispirato all’estetica giapponese. Il design delle creature, i nascondigli, i luoghi e persino alcuni oggetti richiamano un’estetica tipicamente orientaleggiante che contribuisce a creare un’atmosfera unica.
Infine, il comparto sonoro è eccellente, grazie a musiche adatte alle varie occasioni, unite a effetti sonori davvero ben fatti. Ogni creatura ha infatti dei suoni molto marcati, che permettono di identificarla (non dimenticherai mai più il sono emesso dal sonaglio del fantasma dalle fattezze femminili) e di intuirne la direzione e la vicinanza.
Spesso, peraltro, i momenti più tesi vedono la combinazione di effetti sonori e musiche sgradevoli che, unite alla vibrazione dei Joy-Con a tempo con il battito cardiaco del protagonista, riescono a creare una tensione che è difficile scrollarsi di dosso.