Parafrasando Guccini, “Il singleplayer è morto”. Già lo scorso anno si leggevano articoli che ponevano in essere un contrasto singleplayer vs multiplayer a mio avviso insensato e, con voce sempre più insistente, alcune fonti e blog dedicati al videogaming come lo siamo noi decretavano la sorte dei singleplayer, allertando sulla loro lenta scomparsa a causa dei cosiddetti online game service-based.
Con queste parole ci si riferisce ai giochi strutturati come dei servizi, fondamentalmente online, che si ampliano nel corso del tempo con aggiornamenti, DLC e magari anche caratterizzati da microtransazioni. La loro caratteristica principe è quella di essere potenzialmente infiniti in termini di longevità, una volta assodato un supporto continuativo da parte degli sviluppatori.
Generalmente la trama è solo una cornice entro cui crescono le dinamiche di gioco, a differenza dei singleplayer dove la componente narrativa è l’elemento, se vogliamo, essenziale.
Sì lo so, questo tema non ha soluzione ed è stato già affrontato più volte, ma lo ripropongo per porci insieme questa domanda: ma quindi la sorte dei singleplayer è morire?
Fermo restando che molti singleplayer presentano una componente multiplayer integrata, spesso che impatta anche sul corso degli eventi della campagna, guardando ai titoli usciti recentemente e in uscita, guardando ai nuovi generi nati e affermati, si potrebbe dire che le due categorie in questione siano sane e salve e al tempo stesso il contrario.
E’ innegabile che i multiplayer abbia preso il sopravvento negli ultimi pochi anni, forti di tecnologie sempre più all’avanguardia per assicurare una buona riuscita di matchmaking, dinamiche di gioco, grafica, gameplay e quant’altro. Per scrivere una buona trama, basterebbero solo penna e foglio…anzi no, ci vuole veramente una mente brillante per creare una storia in grado di coinvolgere e portare il giocatore oltre quella semplice interazione tra persona-comandi-obiettivo da raggiungere. La storia non la si osserva, né è la cornice, ma il cuore pulsante di un gioco in singolo. Pensiamo a Bioshock Infinite, un capolavoro dal punto di vista narrativo, in cui il gameplay risultava non eccelso o comunque niente di innovativo. Eppure in pochi si sono fermati a considerare questo, premiando una narrazione in grado di commuovere come poche, in grado di farti andare oltre, di desiderare di aiutare “AD” ed Elisabeth.
Tutto questo sta sparendo?
Nella diatriba singleplayer vs multiplayer, per rispondere a questa domanda c’è chi dice sì e chi no. Bioshock è solo un esempio, un gioco in cui la trama è stupenda, ma anche forte da delineare un percorso prefigurato, in cui il giocatore può fare quello e solo quello per proseguire nella narrazione. In multiplayer la trama sta un po’ in sordina perché è l’azione l’elemento accattivante, l’interazione con gli altri giocatori nel raggiungere l’obiettivo. E in tutto questo si sente il condimento della sensazione di poter fare un po’ come si vuole all’interno del gioco, perché se l’obiettivo è sempre quello, il modo per raggiungerlo non è univoco, ma esistono tante vie e ne possono essere scoperte altrettante.
Sebbene ad una prima analisi superficiale si può pensare che questa libertà sia godibile solo online con gli altri, guardando in profondità si capisce che anche il singleplayer ha molto da offrire in questo.
La frontiera di una nuova narrazione
Titolo pesante, ma è solo un suggerimento. Pensando ai vecchi Might & Magic, pur essendo la trama (spesso bellissima) impostata in un certo modo, si poteva muoversi liberamente nel mondo, contribuendo a scrivere capitoli non immaginati nemmeno dagli sviluppatori.
Successivamente (ce ne sono tanti, ma riporto solo un esempio emblematico) ci sono titoli che hanno dato spazio in singleplayer a trame scritte dal giocatore, offrendo nel gioco solo la struttura e qualche spunto per crearla. Avete presente Mount&Blade: Warband? Non ci sarebbe da aggiungere altro, tanto è evidente come questo gioco sia altamente rigiocabile per il solo fatto che la trama la crei da te.
Con i survival non è lo stesso? prendiamo la modalità Sopravvivenza di Green Hell. Nel tutorial si ha un inizio di storia, ma il nostro stare nella giungla acquisisce un senso nel momento riusciamo a creare una trama nostra, che rimarrà solo nostra.
Dunque è vero che i Games service-based si sono ampliati erodendo gran parte del palco, ma non va dimenticato che il mondo singleplayer non sta morendo, ma come tutto si sta evolvendo. The Witcher 3: Wild Hunt ha fornito un esempio storico di come una trama possa rendere perfetto un titolo, senza bisogno di aggiornamenti continui sui contenuti, se non quei due DLC che hanno contribuito a vivere altre due fiabe del mondo dell’autore polacco. E pensare che in questo gioco un multiplayer sarebbe stato proprio un elemento distruttivo invece che arricchente.
Si pensa spesso ai servizi offerti dai giochi in termini di variabilità delle possibilità d’azione, quantità di armi, personalizzazione, contenuti in continua espansione, grafica; Ma quello che mi viene da chiedere è:
Una bella storia, in grado di farti sentire pieno mentre la vivi e completamente svuotato quando la finisci, non è in sé uno dei servizi più nobili che i videogames possano offrire?
Sono convinto che non abbia senso paragonare queste due categorie, metaforicamente due mondi a sé stanti, che danno al giocatore qualcosa di diverso, non di contrapposto, ma complementare nell’alimentare la passione per i videogiochi.
Ma, tentando di rispondere a chi ha trattato i singleplayer come sostituiti dai multiplayer, dico, sempre parafrasando Guccini: “nei PC di tutto il mondo, il Singleplayer è risorto”.