Hideo Kojima è noto per tre cose: Metal Gear Solid, Death Stranding, e il modus operandi che l’ha portato a creare i primi due. Il visionario game designer è infatti noto per l’approccio allo sviluppo di videogiochi che lo contraddistingue: “se il giocatore non crede che ciò che appare su schermo sia reale, non ha senso creare il gioco”, su ammissione di Kojima stesso.
Questo preambolo ci porta a parlare brevemente di Snatcher, titolo del 1988 del game designer nipponico e diretta ispirazione di quanto andremo a recensire oggi. Snatcher era un’avventura grafica ambientata in un mondo cyberpunk non dissimile da quanto abbiamo visto in Blade Runner, dove dei cyborg chiamati snatchers uccidono e rimpiazzano vittime ignare, come ne L’invasione Degli Ultracorpi.
Cos’ha a che fare tutto questo con Sinless, il gioco che oggi si ritrova “interrogato alla lavagna”? Gli autori si sono espressamente rifatti a Snatcher per dare alla vita una classica storia intrisa di mistero, sospetto e paranoia, ambientata in un mondo utopico fuori e distopico dentro. Riuscirà la nostra curiosità morbosa a superare le nostre paure?
Sega Genesis Evangelion
La trama è legata a doppio filo al gameplay per quello che è forse il problema principale del gioco – non un difetto trascurabile, ma comunque uno superabile dopo uno spiazzante primo impatto: Sinless è ambiguo e sibillino sin da quando scegliamo l’opzione “new game” sullo schermo del titolo. Ad accoglierci è infatti una sequenza delirante in cui, superate alcune schermate di dialogo, rimaniamo da soli con il nostro cursore. Al gameplay, però, torneremo tra non molto.
Una volta risvegliati da quello che scopriamo essere solo un sogno, ci troviamo nel nostro appartamento: viviamo in una società gestita dal “nuovo ordine” dei Kyon’Cha, ovvero un regime dittatoriale sotto mentite spoglie. In un futuro lontano che – citando Adrian: La serie evento – “potrebbe accadere”, infatti, l’umanità è sopravvissuta a un’inondazione su scala globale.
Con la convinzione di dover essere “rimessi in riga” durante questa seconda chance, si ricorre ad impianti cibernetici – i “prog” – con i quali bisogna dichiarare i propri impegni giornalieri, un po’ come con i “chip della carriera” di Futurama. Purtroppo, però, la nostra dolce metà ha abbandonato l’appartamento mentre stavamo ancora dormendo: la sua ricerca ci guiderà negli anfratti più oscuri della città.
La trama poco chiara, una volta che la matassa si dipana, passa dall’essere un mezzo difetto a rappresentare la vera punta di diamante del gioco. Naturalmente, i colpi di scena diventano più prevedibili una volta “capito l’andazzo”, ma riescono sempre a suscitare più di un’emozione, grazie anche all’atmosfera gestita in modo magistrale. In un certo senso, il gioco è simile a Headliner: NoviNews, solo con meno potere sull’andamento della trama e gli elementi cupi più interni ad essa.
Metal Gear Sorry
Quando abbiamo detto che Sinless è sibillino, non mentivamo. Si tratta di un’avventura grafica punta-e-clicca molto classica, con alcuni elementi da visual novel inseriti nel mix: non possiamo dunque parlare di chissà quali riflessi richiesti al giocatore, eppure il titolo può dire di vantare una curva di difficoltà. Non si tratta però di qualcosa di particolarmente intenzionale, quanto di puro trial-and-error: provare, sbagliare, riprovare. La barriera linguistica di un gioco solo in inglese, qui, è il problema minore.
Quando, una volta risvegliati dal nostro delirante incubo, decidiamo di uscire di casa, il gioco ci informa che abbiamo dormito in mutande; il consiglio di vestirci è quanto più si avvicina ad un tutorial, ma per il resto il gioco non ci prende affatto per mano. Dobbiamo installare uno dei già citati “prog”, prima di uscire di casa: dimenticarcelo significa celare le nostre intenzioni al governo, e farlo prima di raggiungere il quartiere significa incappare dritti dritti nel primo Game Over del gioco.
Gli elementi da visual novel sono presenti, ma è più corretto considerare questo una sorta di “ascendente” che un genere vero e proprio da affiancare all’avventura grafica, che meglio si confà all’esperienza che ci propone Sinless. I dialoghi con i personaggi non giocanti prevedono diverse opzioni, ma l’esito delle conversazioni serve sempre a spingere la trama in una direzione univoca.
Le avventure grafiche, spesso e volentieri, sono sibilline per definizione: dobbiamo cercare gli elementi di nostro maggiore interesse sullo schermo ed interagire con essi. Tuttavia, lo stile artistico di Sinless rende ogni minimo progresso tanto intricato quanto può esserlo trovare un ago in un pagliaio: oggetti e sfondo sono spesso quasi indistinguibili. Nel menù di pausa campeggia una voce “suggerimenti”, che modifica il cursore in base all’oggetto sopra cui lo facciamo passare, e che è apparentemente “sconsigliata ai veterani del genere”. In aggiunta a questo, vagare senza meta con il cursore evidenzia temporaneamente tutti gli oggetti con cui possiamo interagire.
Quello di pausa però non è l’unico menù del gioco: abbiamo anche un inventario a disposizione, che comprende gli oggetti che possiamo usare o indossare, nonché il palmare con il quale possiamo accedere a diverse applicazioni. Tra queste, spicca un utile riassunto delle nostre azioni passate mascherato da agenda degli impegni, oltre a due minigiochi di cui uno sbloccabile.
Chi è senza peccato scagli i Joy-con al muro
Abbiamo esaurito quanto potevamo dire di Sinless senza fare troppi spoiler, sempre che di spoiler si possa parlare: la trama ha le sue sorprese, ma non va molto oltre quanto ci possiamo aspettare una volta che diventa chiaro dove il gioco vuole andare a parare.
Abbiamo sviscerato anche l’aspetto puramente grafico del gioco qualche riga fa, ma la ripetizione giova sempre. Artisticamente il gioco è molto curato, dagli sfondi ai ritratti animati dei personaggi durante i dialoghi; forse lo è fin troppo, dal momento che in un’avventura punta-e-clicca l’omogeneità di elementi e sfondi va a ledere il ritmo del gioco.
Degni di nota, nel bene e nel male, sono anche gli effetti di luce: vedere un’illuminazione realistica applicata ad un disegno è sempre di indubbio impatto, ma talvolta il sole riesce ad essere più accecante di quello visto in Super Mario Sunshine (e ce ne vuole!).
Discorso diverso, ed unicamente positivo, per quanto invece riguarda il comparto audio. Gli effetti sonori sono curati, ma mai quanto la colonna sonora di Roland Redwood. La struggente angoscia che emerge dal mondo cyberpunk in cui è ambientato Sinless una volta che la sua mascherata crolla si traduce perfettamente in musica. Non abbiamo a che fare con le vette toccate dai nomi più noti della musica videoludica, ma la colonna sonora fa il suo lavoro con diligenza.
La nota dolente, riassumibile con “e qui casca l’asino”, è la longevità. Il gioco, se affrontato con la dovuta – e necessaria – caparbietà, dura un paio di giorni al massimo, ma una sessione di un’ora e mezza può bastare e avanzare per raggiungere i titoli di coda. Per quelli che sono i crismi del genere può anche essere concepibile, ma rimane comunque un peccato sotto più punti di vista.
Uno di questi è l’essenza “monouso” del titolo: il gioco ci dice apertamente quando raggiungiamo il punto di non ritorno prima dell’endgame, avvertendoci di chiudere i conti lasciati in sospeso. I salvataggi automatici che ne conseguono, però, rendono i titoli di coda l’unica cosa visibile una volta “terminata” la nostra avventura. Terminata per modo di dire, perché la natura episodica del gioco emerge dolorosamente solo alla fine: la frase “Abbiamo appena iniziato!” è letteralmente la battuta conclusiva. Oltre a riportare alla mente il famigerato finale di Halo 2, questo epilogo sancisce definitivamente l’aspetto usa-e-getta di un gioco da dieci euro altrimenti promettente.
Il gameplay, infine, non è particolarmente intrigante, pure per gli standard delle avventure grafiche, ma può diventarlo una volta superati i primi ostacoli. Purtroppo Sinless ostacola apertamente il giocatore non con la sua difficoltà, ma con il suo modo di porsi nella comprensione dei rudimenti sotto ogni aspetto. E per un gioco il cui titolo si traduce letteralmente in “senza peccato”, prima di un seguito a Sinless converrebbe fare quattro chiacchiere col parroco.