“Thank you Mario! But our princess is in another castle”, ci sono due tipi di videogiocatori: chi ha visto almeno una volta nella vita questa frase dopo aver battuto Bowser… e chi mente! Sono ormai trentasei anni che l’iconico idraulico baffuto va in cerca della principessa Peach castello dopo castello, regno dopo regno. Il buon Sir Lovelot ha trovato una soluzione migliore!
Il pixellosissimo cavaliere protagonista dell’oggetto della nostra recensione, Sir Lovelot per l’appunto, infatti ha deciso di risolvere il problema alla radice trovando una principessa da amare in ogni castello. Questa simpatica intuizione degli sviluppatori di casa Pixel Games si sposa a un gameplay veloce e dinamico, che metterà costantemente alla prova i riflessi del giocatore.
Dieci ragazze per me…
Come anticipato, la premessa narrativa di Sir Lovelot vede un cavaliere impegnato a conquistare i cuori di avvenenti principesse (per quanto un mucchio di pixel possa essere attraente); nulla ci verrà realmente narrato a dire il vero, potremo semplicemente evincere la “missione virtuosa” del nostro protagonista osservando il contesto e portando a termine i vari livelli di difficoltà crescente che ci vengono proposti.
Il nostro protagonista si muoverà in una classicissima ambientazione fantasy, andando di torre in torre in contesti sempre più “oscuri”, passeremo infatti da una prima tranche di livelli ambientati in una foresta incantata per poi avventurarci in un bosco paludoso, uno spaventoso cimitero e una desolata terra vulcanica in cui la situazione si farà… bollente…
Insomma, il tutto ricorda tantissimo quelle produzioni estremamente fedeli al fantasy, un po’ alla Ghosts ‘n Goblins (sembra vada di moda scopiazzare l’avventura di Sir Arthur ultimamente, dai un’occhiata alla nostra recensione di Cathedral per saperne di più). I personaggi e la trama non sono neanche minimamente abbozzati, e non è un difetto, è palese che questo aspetto del titolo non fosse neanche minimamente nelle intenzioni degli sviluppatori, un titolo così arcade e immediato nelle meccaniche in effetti non ne ha nemmeno tanto bisogno.
Per quanto possa sembrare che Sir Lovelot presenti dei contenuti scarni, e in effetti dal punto di vista della narrativa è anche così, in realtà l’ironia di fondo che regge la produzione, e il suo pretesto a tratti dissacrante, riescono comunque a reggere il tutto, anche perché il vero punto di forza del gioco non sta, ribadiamo, nella trama, ma nel suo gameplay!
Tira più un capello di principessa…
Come anticipato, il vero fulcro di Sir Lovelot è il suo gameplay: nulla di innovativo, ma veloce e discretamente appagante. Il titolo ricalca la classica branca dei platform arcade, in particolare 10 Second Ninja X, in cui avremo un piccolo livello pieno zeppo di pericoli e dovremo arrivare sani e salvi dal punto di partenza fino all’arrivo, rappresentato puntualmente nel titolo da una principessa intrappolata in una torre, prima di farlo però dovremo recuperare un dono per conquistare il cuore della nostra bella.
Il nostro eroe avrà a sua disposizione un moveset davvero limitato, o meglio, essenziale. Saremo infatti in grado di compiere salti (corredati dai classici doppi salti), emettere un attacco a medio raggio, infine, compiere uno scatto, ma esclusivamente aereo. Queste semplici mosse bastano e avanzano a fornirci tutto ciò di cui abbiamo bisogno per superare i vari livelli, la loro difficoltà crescente infatti imporrà di combinare le risorse a nostra disposizione in maniera sempre diversa, più rapida e più precisa.
Il design dei livelli infatti, oltre a diventare man mano sempre più articolato, a una prima occhiata potrebbe risultare estremamente semplicistico, ma basterà arrivare in fondo al primo livello per notare che avremo lasciato indietro dei segreti davvero ben nascosti! Se vorremo esplorare al 100% ogni singola sezione del gioco avremo bisogno di tutto il nostro acume per scovare ogni passaggio segreto, e anche di una discreta abilità e prontezza di riflessi, perché talvolta si troveranno in luoghi non proprio semplici da raggiungere.
Una piccola pecca che ho trovato nella produzione è una certa ripetitività di fondo, intendiamoci, a un titolo del genere non si richiede certamente un colpo di scena che ribalti la concezione del gameplay a metà avventura, piuttosto avrei gradito più varietà nel completamento del livello, ho davvero sentito che la svolta potesse essere dietro l’angolo talvolta, semplicemente, gli sviluppatori hanno preferito non imboccarla.
Mi spiego meglio, il nostro obiettivo principale, collezionabili e segreti a parte, è arrivare in ogni livello alla torre della nostra amata principessa. Per conquistarne il cuore però dovremo donare a ognuna una margherita che recupereremo nel corso del livello stesso. Variere la tipologia di fiore, mettere più principesse in un singolo livello (magari una più semplice e una più complicata da raggiungere), far sì che i fiori marcissero dopo un po’ di tempo (dal momento che la prestazione in ogni livello è scandita da un cronometro)… insomma, tutte piccole variazioni sul tema che avrebbero potuto rendere il titolo ancora più interessante.
Un mondo di pixel!
Il comparto tecnico è minimalista e retrò, ma non per questo insoddisfacente, anzi! Ci ritroveremo davanti una gradevolissima grafica cartoonesca interamente votata alla pixel art, uno stile che vuole a tratti omaggiare la gloriosa era dei 16 bit e ci riesce alla perfezione anche grazie alla visuale laterale a scorrimento.
Anche per quanto riguarda la colonna sonora ci ritroviamo davanti a un titolo estremamente piacevole; va subito fatto presente che le tracce che ascolteremo durante il gioco hanno un pesante debito nei confronti dei primi Rayman, da cui riprendono del tutto, o quasi, le iconiche sonorità. Un particolare del genere non si può assolutamente annoverare tra i difetti, dal momento che le colonne sonore dei titoli con protagonista la mascotte Ubisoft sono tra le più interessanti che si possano ascoltare in un platform.
In definitiva, Sir Lovelot non sarà certamente il migliore dei platform in due dimensioni che potremmo definire quasi “hardcore”, tuttavia, l’ironia di fondo del contesto e il level design ben studiato, accompagnati da un comparto tecnico piacevole alla vista e all’udito, contribuiscono a fornire al giocatore un’esperienza piacevole per una partita mordi e fuggi.
Tra l’altro, questa recensione è basata sulla versione Nintendo Switch del titolo e, considerando quanto l’ho giocato in portatilità, mi viene scontato pensare che sarebbe un titolo sprecato su una console fissa per la sua immediatezza, l’ibrida della grande N, ancora una volta, dona una marcia in più a esperienze di questo genere!