“La guerra in Iraq non è un gioco” così si legge nel comunicato ufficiale rilasciato dal “CAIR” (Council on American-Islamic Relations) la più grande organizzazione americana votata alla difesa e alla tutela dei diritti civili delle persone di religione musulmana nel territorio. Il comunicato è stato indirizzato direttamente a Microsoft Sony e Valve, che sono stati invitati a boicottare il già controverso FPS.
Six Days in Fallujah è ambientato in Iraq, durante la seconda battaglia del Fallujah, uno degli scontri più sanguinosi del conflitto.
Six Days in Fallujah nel mirino, di nuovo, delle polemiche
“Abbiamo contattato Microsoft Sony e Valve per far bannare dalle loro piattaforme Six Days in Fallujah, un simulatore di assassinio di Arabi, che normalizza la violenza solo contro il popolo musulmano in America e nel mondo”.
Così esordisce Huzaifa Shabahz, coordinatore del CAIR e continua:
“Videogiochi come Six Days in Fallujah, servono solo a glorificare la violenza che ha tolto la vita a migliaia di civili musulmani e a giustificare la guerra in Iraq, alimentando il sentimento anti-musulmano in un momento storico in cui l’intolleranza e il bigottismo verso questa cultura la fanno da padrone”.
Six Days in Fallujah venne annunciato nel 2009, ma la grande mole di controversie e scandali che si crearono attorno al progetto spinsero Konami, all’epoca publisher del titolo, a tirarsi indietro nel progetto.
Ciò comportò, nel 2011 allo scioglimento del team di sviluppo originale, gli Atomic Games. Solo nel febbraio 2021 il gioco, a sorpresa, è stato riannunciato con lo sviluppo ora nelle mani dei ragazzi di Higwire Games e con Peter Tamte, ex CEO di Atomic Games, ora nel ruolo di publisher del gioco con Victura Games.