La serie di Spelunky, per certi versi, è considerabile una piccola rivoluzione e, per molti appassionati del genere, è un vero e proprio punto di riferimento, che mostra tutte le potenzialità delle meccaniche “da roguelike” applicate a un game design ragionato e curato. Fin dal suo esordio, infatti, Spelunky ha imposto dei punti fermi che sono arrivati fino al secondo capitolo, in modo più elaborato.
Non c’è quindi da sorprendersi che, pur essendo nato come un progetto piccolo, il titolo ha subito ottenuto una grande comunità di appassionati, che hanno supportato Derek Yu anche nelle versioni successive di Spelunky.
Nonostante il primo capitolo vantava già una formula equilibrata e ragionata, questo secondo titolo della serie riesce a perfezionare ancora di più la struttura tanto amata dai giocatori hardcore…aggiungendoci anche una curva di difficoltà più alta (in fondo, perché non farsi del male?). Vediamo quindi se vale la pena armarsi di frusta e scendere nelle profondità della luna.
Una sorta di sequel?
Come probabilmente saprai se hai familiarità con il genere o con la serie, la storia in Spelunky riveste un ruolo secondario e marginale, data l’assenza di un intreccio di fatti degno di questo nome. Assistiamo, invece, a una sorta di premessa per le nostre avventure, poi approfondita poco alla volta con le pagine di diario.
Dopo la fine del primo capitolo, due degli esploratori sopravvissuti a Olmec (di fatto, due personaggi giocabili nel capostipite) hanno formato una vera e propria famiglia, da cui nasce Ana, che come loro ha la passione sfrenata dell’esplorazione. Il padre, però, continua a vedere il volto di Olmec sulla luna e, per capirne il motivo, decide di costruire una navicella e andare direttamente sulla superficie lunare.
Qui trova l’entrata di una caverna che sembra in tutto e per tutto simile a quella a cui erano già sopravvissuti nel primo capitolo. Il richiamo del luogo è troppo forte e, dopo esserci entrati, i genitori della nostra protagonista rimangono bloccati in un loop maledetto di morti e rinascite.
Cercando di salvare i suoi genitori, anche la piccola Ana decide di andare sulla luna, accompagnata solo dal suo carlino e dal suo diario. Nonostante la premessa possa sembrare assurda e, forse, persino banale, è l’atmosfera a rendere Spelunky 2 immediatamente riconoscibile. Dietro un’estetica cartoonesca, il titolo nasconde richiami mistici ispirati a diverse culture, che contribuiscono a creare un’estetica unica.
Morire, morire e ancora morire
Il gameplay di Spelunky 2 è sicuramente il piatto forte del titolo, nonché il motivo principale per cui acquistarlo. Di base, la formula è semplice e prende a piene mani dalle meccaniche da roguelike più tradizionali. Si entra quindi in un dungeon diviso in diversi biomi, cercando di scendere in profondità. Per farlo, però, bisogna affrontare un gran numero di creature, trappole e ostacoli. Tutto questo, in salsa platform.
In ogni partita, infatti, si inizia dalla parte alta di un livello e si cerca di scendere ai punti più bassi senza farsi uccidere. Dopo aver raggiunto l’uscita, ci si ritrova in un livello successivo. Tutto questo, però, viene unito a tante piccole meccaniche, capaci di offrire una profondità invisibile a un primo sguardo.
A ogni discesa ci troviamo davanti diversi tipi di nemici, ognuno con caratteristiche peculiari: dai ragni appesi al soffitto, ai serpenti, passando per le talpe che vanno sotto terra. A questi si aggiungono trappole mortali, anche queste divise in diversi tipi, tutti diversi in qualche modo. La letalità di ogni ostacolo, però, è davvero alta (basta poco per perdere tutti i cuori della vita) e sta al giocatore sperimentare per capire come superali.
Per aiutarci in quest’impresa, infatti, abbiamo diversi strumenti a disposizione, che possono essere utilizzati in molti modi diversi. Oltre al normale salto, è possibile utilizzare una frusta per uccidere o stordire i nemici, delle bombe per spaccare pezzi di mappa e delle corde per salire (o scendere) da determinati punti.
Tutto questo può essere usato in modo creativo: le corde, per esempio, possono disinnescare una trappola che spara frecce, oppure possono consentire di scendere sugli spuntoni senza restare uccisi. Allo stesso modo, il cadavere di alcuni nemici può diventare un’arma da lancio.
Spelunky 2 offre tanti modi di interagire con l’ambiente e chiede al giocatore di sperimentare e di ragionare sulle diverse situazioni. Peraltro, rispetto al primo capitolo la generazione procedurale offre delle mappe molto più dense di ostacoli e nemici, imponendo al giocatore di fermarsi spesso a ragionare.
Di fatto, pur non essendo un roguelike tradizionale, Spelunky 2 si avvicina molto alla filosofia del genere, grazie a un game design metodico e strutturato, che spinge a un gameplay lento e ragionato. Ogni situazione può sempre essere risolta, spesso in molti modi diversi e ogni morte dipende sempre da errori del giocatore o da scelte tattiche infelici.
Per questo motivo, nonostante la curva di difficoltà sia ancora più ripida del primo capitolo, si può dire che il titolo non diventa mai ingiusto e non crea mai delle situazioni dove la morte è incomprensibile. L’unica eccezione sono i compagni che è possibile incontrare durate le esplorazioni, spesso imprevedibili e, fin troppo spesso, causa di morti caotiche.
Tutto questo, poi, è reso ancora più vario dal grande numero di biomi presenti, anche più di quelli visti nel primo capitolo. Ogni ambientazione è infatti unica, con ostacoli, trappole e mostri diversi, che vanno compresi per poter essere evitati. Proprio questa varietà alza di molto lo skill ceiling Spelunky 2, dato che il giocatore può (e deve) imparare come fronteggiare i tantissimi ostacoli divisi tra le varie ambientazioni.
E proprio qui arriva il piatto forte: ancora una volta siamo davanti a una morte permanente che toglie tutto, costringendo il giocatore a ricominciare da capo. I piccoli aiuti, come le scorciatoie, non consentono di potenziare il personaggio in alcun modo e non c’è nessuna forma di aiuto per il giocatore.
In assenza di una metraprogressione, il fulcro del gioco sta negli insegnamenti di ogni dipartita. Morte dopo morte, il giocatore capisce cosa ha sbagliato, cosa avrebbe potuto fare diversamente e come quella dannata lucertola gialla poteva essere evitata. In altre parole, siamo noi a dover diventare più bravi (o skillati, per usare un termine tecnico) per arrivare alla fine del gioco.
Questo, unito al fatto che difficilmente le morti sono ingiuste o caotiche, rende il titolo particolarmente adatto a quei giocatori hardcore che non hanno paura delle sfide. Da una parte, questa curva di difficoltà ripidissima potrebbe scoraggiare molti utenti e diventare un limite del gioco. Dall’altro lato però, è proprio questa difficoltà a rendere l’esperienza gratificante anche dopo moltissime partite, aumentando a dismisura la longevità.
In sintesi, Spelunky 2 parte da una formula semplicissima, che prende a piene mani dalla formula dei roguelike e dai classici platform 2D. Questa viene però espansa da un gran numero di meccaniche e di interazioni, che rendono il gameplay profondo e vario. Questo secondo capitolo, poi, espande queste basi gettate dal capostipite sotto ogni punto di vista, ampliando, perfezionando e bilanciando tutto quanto.
Tra le varie novità, per esempio, troviamo una fisica di gioco ancora più convincente, che rende le collisioni tra i vari oggetti più realistiche e permette di dare ai liquidi ancora più importanza di quella vista nel capostipite.
Proprio come accadeva con il capostipite su Ps Vita, su Nintendo Switch questa formula di gioco trova il suo spazio ideale, dato che la portatilità della console si sposa alla perfezione con una formula adatta anche a partite mordi e fuggi.
Un piccolo difetto che Spelunky 2 eredita dal primo capitolo è il multigiocatore del tutto accessorio, che non aggiunge niente di rilevante all’esperienza complessiva e, forse, arriva persino a rovinarne il delicato equilibrio. Si tratta comunque di una piccola aggiunta, che per fortuna è possibile ingnorare.
Bello da giocare e bello da vedere
Il comparto tecnico di Spelunky è davvero ottimo, anche su Nintendo Switch. Il titolo vanta un’estetica cartoon che ci mette davanti ad ambienti e personaggi simili a dei veri e propri disegni. Questo permette di avere un buon comparto grafico, con ambientazioni sufficientemente dettagliate e personaggi belli da vedere. Si aggiungono poi delle animazioni soddisfacenti, migliorate rispetto al primo capitolo e più convincenti.
Il comparto sonoro, infine, si mantiene su ottimi livelli, grazie a musiche sempre adatte ai vari biomi e mai ripetitive, affiancate da effetti sonori soddisfacenti, che spesso aiutano anche a capire cosa stia accadendo nell’ambiente fuori dallo schermo.