Oltre al secondo capitolo, che abbiamo recensito con un voto eccellente, la serie di Spelunky è arrivata su Nintendo Switch anche con il capostipite, che dopo così tanti anni viene portato su una piattaforma più recente. Sull’ibrida Nintendo troviamo quindi anche il primo capitolo della serie, acquistabile separatamente dal secondo.
Come forse saprai, però, Spelunky 2 prende a piene mani dalla formula del primo e la espande sotto diversi punti di vista rendendo quasi obsoleta questa prima versione del titolo. Vale quindi la pena lanciarsi nelle miniere del primo Spelunky, quando abbiamo a disposizione il secondo? Dipende, in realtà.
L’inizio della serie di Spelunky
La storia di Spelunky è praticamente assente, dato che non abbiamo un intreccio di fatti degno di questo nome. Piuttosto, siamo davanti a un pretesto narrativo, che dona un piccolo contesto alle nostre avventure: un giovane esploratore decide di addentrarsi in una strana miniera per scoprirne i tesori. Qui, però, si imbatte nel diario di un avventuriero che, come lui, aveva deciso di esplorare le profondità del luogo.
Leggendo il manoscritto, il protagonista capisce di trovarsi in un luogo maledetto, dove la morte non è definitiva e dove i muri cambiano continuamente. Non resta che esplorare le profondità della caverna, sperando di trovare un’uscita.
Come puoi vedere, Spelunky non cerca di offrire nessun tipo di storia, ma punta tutto sul gameplay. Resta però interessante l’atmosfera, poi ripresa nel secondo capitolo, che unisce elementi mistici appartenenti a varie culture, in un mix unico e interessante.
Muori, nasci e ripeti
Il gameplay di Spelunky si basa sulla prima versione di gioco, che inizialmente sarebbe dovuta essere un progetto più piccolo. L’apprezzamento degli appassionati di roguelike, però, ha portato allo sviluppo di questo piccolo remake, che riprende quelle basi, ampliandole e migliorandole.
Nonostante il secondo capitolo abbia ulteriormente raffinato questa formula, il primo Spelunky ha ancora qualcosa da offrire. In confronto al sequel, infatti, il gioco risulta essere molto più semplice e immediato (non facile, ma meno difficile) e di conseguenza più adatto a un pubblico meno hardcore o semplicemente nuovo al genere.
Spelunky si basa infatti su pochi elementi ben congegnati, che nel complesso delineano un’esperienza più immediata e con un skill ceiling più basso. Ad esempio, la presenza di un numero minore di biomi, creature e oggetti, impone al giocatore di dover prendere in considerazione meno fattori durante le discese.
La formula base è la stessa: si scende in un dungeon generato proceduralmente, cercando di andare in profondità, si muore e si ritenta. La morte è permanente e non ci sono progressi che vengono trasferiti tra le varie partite. Nella nostra esplorazione attraversiamo diversi biomi, ognuno con nemici, trappole e ostacoli differenti.
Per riuscire in quest’impresa, il nostro esploratore ha a disposizione diversi strumenti: una frusta per uccidere i nemici, delle bombe per spaccare pezzi di scenario e delle corde per scalare o scendere in sicurezza. Inoltre, si aggiungono i vari pezzi di equipaggiamento reperibili durante le varie esplorazioni (come Jetpack, paracadute o guanti da arrampicata).
Non essendoci una metaprogressione, tutto è affidato alle mani del giocatore: siamo noi a dover capire come superare i diversi ostacoli, come usare i vari strumenti a nostra disposizione e come evitare morti inutili. In Spelunky, nessuna morte è ingiusta, perciò l’unico modo per fare progressi è quello di diventare più bravi.
Siamo quindi davanti a un titolo che prende a piene mani dalla filosofia del roguelike, offrendo un gameplay difficile, affiancato da una morte che toglie effettivamente tutti i progressi, salvo alcune piccolezze. La stessa esplorazione, poi, ricalca la classica complessità tipica del genere, dato che è possibile interagire in molti modi con i vari elementi del dungeon.
Come accennato all’inizio, però, Spelunky risulta oggi molto più limitato rispetto al suo sequel. Semplicemente, ci sono meno biomi, meno oggetti, meno nemici e una fisica generale meno soddisfacente. Da un lato questo rende il titolo più semplice da padroneggiare, ma dall’altra parte il salto qualitativo del secondo capitolo ha mostrato tutti i limiti del primo.
Gli scenari risultano poi meno densi di contenuti e, in alcuni casi, eccessivamente vuoti. Vediamo poi alcune scelte discutibili, come quella di rendere il terzo bioma più semplice dei primi due, per poi ripresentare un enorme picco di difficoltà con il quarto.
Quindi, che fare di questo primo Spelunky? Con il sequel sul mercato, siamo chiaramente di fronte a un’esperienza “superata”, che andrebbe acquistata solo se ti piace rivivere la storia dell’intera serie, in modo da vederne l’evoluzione con mano, oppure se cerchi una versione più semplice di Spelunky 2.
Purtroppo, dato che potremmo considerare il secondo capitolo una vera e propria versione “riveduta e corretta” del primo, i paragoni tra i due sono inevitabili e, visto che entrambi puntano tutto sul gameplay, il capostipite esce dal confronto naturalmente sconfitto.
Carino da vedere?
Ancora una volta, il primo Spelunky sente il peso del suo sequel. Il comparto tecnico nel complesso è buono, grazie allo stile cartoon che lo caratterizza, ma il livello generale di dettagli, di animazioni e di suoni è chiaramente inferiore rispetto a quanto visto nel secondo capitolo. Per altro, per quanto siamo comunque su un livello accettabile, l’immagine risulta leggermente meno definita.
Infine, il comparto artistico è ottimo, grazie al particolare mix di elementi che prendono ispirazione da diverse culture, uniti da un’estetica cartoon davvero particolare.