Quando uscì nell’ormai lontanissimo 1996, Strife passò quasi in sordina. Era il periodo in cui Doom la faceva da padrone, e i suoi cloni spadroneggiavano; tuttavia il titolo di Rogue Entertainment e Velocity riuscì a ricavarsi una nicchia di appassionati, che gli valse una riproposizione nel 2014, aggiornata e distribuita tramite Steam, che è poi questa Veteran Edition che ritroviamo oggi nel catalogo Nintendo Switch.
Sin dalla sua uscita, Strife si distinse per essere il primo gioco ad introdurre elementi RPG all’interno di uno sparatutto, diventando il capostipite di una stirpe che comprende titoli illustri come Deus Ex, Dishonored e via dicendo.
Ma, terminati i preamboli di rito, scopriamo di più su questo nuovo porting del titolo.
Paradise Lost: Strife
Come tradizione vuole, ad un certo punto il nostro pianeta si è trasformato in un inferno a causa di un virus che ha ucciso milioni di persone (non è il COVID, tranquillo); i più fortunati secondo la voce narrante del filmato introduttivo.
Sempre secondo un consumato cliché, una parte dell’umanità sopravvissuta si è trasformata in una setta di fanatici che, dandosi il nome di Ordine, ha preso il dominio di quello che è diventato una sorta di medioevo futuristico, grazie a schiere di soldati cyborg pesantemente armati.
Il nostro ruolo sarà quello di agente del caos, che con pochi alleati è chiamato a sovvertire il regime al potere.
Il primo aspetto che si nota, avviando il gioco, è la notevole quantità di opzioni a nostra disposizione che rendono l’esperienza di gioco altamente personalizzabile. I puristi possono scegliere la classic mode per un’esperienza fedele all’originale (bug inclusi, ci avverte il gioco) mentre i giocatori più moderni potranno avvalersi dei sensori giroscopici presenti all’interno dei Joy-Con per dare al gioco un ulteriore tocco di modernità. E’ possibile anche rimappare i controlli, cambiare la gestione dell’inventario, insomma ci sono opzioni per tutti i gusti ad anticipare la corposità del titolo che stiamo per affrontare.
Peculiare è anche la presenza della modalità Trust no one, che viene indicata come demo ma che è uguale alla modalità principale. Molto strano.
Il gioco, come già accennato, è enorme: tanti sono gli incarichi da assolvere e tante le aree da esplorare, al punto da essere difficile stimare la durata effettiva dell’avventura. Sicuramente è più lunga di molti titoli contemporanei.
Il gameplay è abbastanza semplice: dovremo farci strada sparando o evitando i nemici (che alle difficoltà da normale in su diventano delle spine nel fianco inenarrabili).
Purtroppo, quella che era una delle innovazioni principali di Strife diventa anche un punto a sfavore: affrontare dei livelli a cielo aperto, cosa mai vista nei vari emuli di Doom, ci espone troppo spesso al fuoco nemico che è molto più devastante del nostro e ci porta ad una morte rapida.
Inoltre, per proseguire spesso dovremo affidarci alle indicazioni vocali di Blackbird, misteriosa leader della resistenza; se per un qualsiasi motivo non le presteremo la giusta attenzione, avanzare risulta un po’ più complesso. Non abbiamo infatti mappe o punti di interesse, cose che del resto nel ’96 erano molto di là da venire.
Tuttavia, il mondo di gioco si presenta abbastanza ricco da rendere in qualche modo piacevole il girovagare in cerca dell’obiettivo. Anche perchè, raccogliere quante più monete possibile e completare incarichi secondari si rivela talvolta necessario per affrontare la main quest, e per acquistare armi via via sempre più potenti.
Nonostante talvolta si faccia riferimento alla cautela e all’azione furtiva, è impossibile affrontare Strife con un approccio stealth. L’epoca non lo prevedeva e l’unica arma silenziosa che abbiamo è una sorta di daga, che richiede numerosi colpi per uccidere un nemico.
Anche quando avremo raggiunto il massimo potenziamento possibile, è praticamente sconsigliabile tranne in quei casi in cui la IA dei nemici si addormenta e si lasciano accoltellare senza fare una piega.
Segnali di Stile
Nonostante sia un titolo vecchio di ben 24 anni, Strife si distingue per comparto sonoro e visivo.
La grafica è ovviamente molto simile a quella del primo, indimenticabile, Doom dato l’utilizzo del medesimo engine grafico: si contraddistingue per una palette colorata e spigoli vivi. In generale però il mondo di gioco appare vivido, così come i personaggi che sono in realtà piatti (lo scopriamo ogni qual volta li osserviamo dall’alto).
Strife non è esente da piccoli glitch, ma oltre a non rovinare la partita, va sempre messo in conto che parliamo di un titolo che sia pure riveduto e corretto, ha mantenuto pressoché immutata la propria essenza.
Il comparto sonoro è una vera e propria ciliegina sulla torta: cosa molto rara per l’epoca, tantissimi personaggi hanno una traccia audio e il doppiaggio è sempre convincente e di buon livello (sempre considerato che parliamo di un gioco degli anni ’90).
Anche la musica è molto piacevole con delle sonorità metal, indovina a quale gioco si rifanno, che rendono piacevoli le nostre scorribande.