Sai qual è una delle cose che preferisco in assoluto dei videogiochi? Il fatto che proprio come accade per altri media, prima ancora di essere forme d’intrattenimento, essi rappresentano un potente mezzo espressivo alla portata di tutti. Per ovvi motivi questa verità prende spesso forma all’interno di progetti indipendenti a opera di sviluppatori poco conosciuti, che non devono rendere conto a nessuno della loro personale visione creativa.
Nonostante i molti casi in cui ciò ha portato al diffondersi di prodotti a dir poco scadenti, è innegabile che libertà di questo tipo sappiano altrettanto spesso dare origine a vere e proprie perle del panorama videoludico e, per questo motivo, quando mi trovo ad avviare per la prima volta titoli come Tamashii, la curiosità di sapere a cosa andrò incontro è sempre altissima.
Non sono certo di aver capito, però ammetto che mi intriga
Lo confesso, fra ognuno degli aspetti che compongono il gioco, la trama è sicuramente quello che più di tutti mi ha saputo mettere in difficoltà durante la stesura di questa recensione. La cosa davvero chiara è che il giocatore vestirà i panni di una povera anima senza nome, al servizio di quella che sembra essere un’antica e potente divinità. Il tuo unico compito, almeno inizialmente, sarà dunque quello di purificare il luogo in cui dimora tale essere supremo, un tempio tanto contorto quanto corrotto.
La narrativa di Tamashii (se di narrativa si può parlare) come d’altronde anche le sue ambientazioni, è fortemente caratterizzata da un soffocante senso di angoscia che, attraverso l’oculato uso di alcuni jumpscare accompagnati da immagini e suoni disturbanti, è in grado di destabilizzare il giocatore in più di un’occasione.
Il principale scopo di Vikintor però, solo e unico sviluppatore dell’opera, sembra non essere semplicemente quello di spaventare i malcapitati che impugneranno un joypad e questo, a parer mio, è forse l’elemento che più intriga di tutto quanto Tamashii.
Più che di una trama vera e propria, per questo titolo sarebbe opportuno parlare di tematiche e immaginario, entrambi ingredienti che insieme all’atmosfera unica ripresa dai videogiochi horror giapponesi di circa trent’anni fa, risultano fondamentali nella costruzione di quell’angoscia di cui ti ho già parlato e della quale Tamashii è pregno.
Il tema che sembra essere maggiormente sviluppato all’interno del titolo è quello relativo alla personale concezione dello sviluppatore nei confronti dello gnosticismo, un movimento filosofico oltre che religioso presenta dei caratteri profondamente esoterici.
L’intera esperienza di gioco si potrebbe di fatto riassumere in un viaggio verso la conquista della verità che, proprio come previsto dallo stesso gnosticismo, non deriverà dall’esperienza personale bensì ci verrà rivelata, come fosse un dono divino riservato a pochi eletti, da una figura misteriosa posta al di sopra di noi. In due parole: originale e interessante.
Un forte contrasto
Il gameplay di Tamashii, agli occhi di un appassionato di videogiochi, si presenta prevalentemente come un semplice platform 2D fortemente incentrato sulla risoluzione di vari enigmi ambientali. Il titolo è strutturato in modo che, partendo da quello che potremmo definire come l’HUB centrale di gioco, il giocatore possa accedere a diverse stanze da dover purificare, ognuna delle quali rappresenta una serie di livelli culminante in una sorta di battaglia contro il boss di turno.
Qualunque scontro in Tamashii deve essere affrontato come si affronterebbe uno dei tanti enigmi che compongono il gioco, fatta eccezione per una particolare battaglia nella quale il titolo cambia completamente faccia. Nonostante nel corso dell’intera esperienza (piuttosto breve) i puzzle non si ripetano mai, a meno che non si decida di cimentarsi nuovamente nelle stanze già purificate, ammetto che una maggiore varietà nel gameplay o anche solo un miglior bilanciamento fra le poche componenti di esso, avrebbe sicuramente reso il gioco più appetibile.
Di questa poca varietà di gioco è sicuramente esempio la possibilità che viene data al giocatore di poter scegliere, prima di addentrarsi nei livelli di una di quelle camere corrotte, tra due diversi percorsi. Stando a quanto suggerito a schermo essi differiscono in due cose fondamentali: la difficoltà e, nel caso si dovesse riuscire a completare il più arduo, i premi che se ne ricaverebbero.
Sebbene le ricompense (particolari rune utili allo sbloccare nuovi tragitti nascosti all’interno dell’HUB centrale) siano infatti effettivamente presenti e rimediabili soltanto scegliendo il percorso più complesso, le differenze riscontrate nei diversi livelli da superare a seconda della via selezionata risultano di poco impatto e, in alcuni casi, pressoché impercettibili.
A conti fatti la difficoltà in Tamashii si riduce troppo spesso nel dover necessariamente fallire per apprendere il modo migliore di affrontare gli ostacoli, dando così vita a una continua meccanica di trial and error che potrebbe portare a un appiattimento del senso ludico nel giocatore. Un vero e proprio contrasto dunque con l’idea che vede la gnosi come una verità non raggiungibile attraverso l’esperienza personale che, nel gameplay di Tamashii, risulterà però essere l’unica cosa alla quale aggrapparsi per poter proseguire.
Il valore aggiunto della sperimentazione
Uno dei punti focali di Tamashii, che anticipo già esser stato la chiave di volta capace di strapparmi la sufficienza, è senza dubbio la forte componente sperimentale che ho trovato al suo interno. Attraverso quest’opera lo sviluppatore indipendente Vikintor, oltre a confermare il suo particolare interesse nei confronti di immaginari metafisici, filosofici e trasgressivi, ha indubbiamente sottolineato quanto ami sperimentare, portando il medium a un livello di originalità e audacia che mi ha ricordato alla lontana trovate autoriali di un certo spessore.
L’ambientazione distorta di Tamashii infatti, che in più di un’occasione arriva quasi a destrutturare il videogioco tramite l’utilizzo di effetti visivi portati al limite, riesce a colpire nel segno instaurando nel giocatore un costante senso di ignoto e crescente inquietudine.
Ad arricchire ulteriormente questa percezione di oscuro mistero, nel titolo troviamo anche una discreta quantità di segreti ed easter egg nascosti, il più interessante dei quali (a parer mio) concederà al giocatore l’opportunità di avere un breve sguardo su molti degli aspetti che hanno portato alla realizzazione del progetto: da alcune versioni precedenti del gioco al concept dei suoi personaggi, ideati per quello che mi è sembrato essere un fumetto piuttosto ispirato.
Prima di passare all’ultimo paragrafo dedicato a Tamashii concedimi di motivare brevemente la mia decisione di voler dare a un gioco come questo, che tutto sommato non mi sentirei di consigliare a chi non ama alla follia il genere piuttosto particolare, la piena sufficienza. Personalmente ho ritrovato in Tamashii qualcosa che troppo raramente noto nei titoli moderni e che, senza troppi giri di parole, mi sento di voler premiare in qualche modo: lo sperimentare degli sviluppatori.
Nella speranza quindi che il prezzo di lancio su console non finisca con il lievitare eccessivamente rispetto al più che giusto 3,99 € della versione PC, mi auguro davvero che recensioni come questa possano rappresentare il chiaro segnale che la creatività, nel concepire i videogiochi, andrebbe sempre premiata.
Il comparto tecnico
Eccoci arrivati alla conclusione della mia personale analisi di Tamashii, videogioco interamente creato dallo sviluppatore brasiliano Vikintor e che approderà su console grazie al publisher Digerati, in collaborazione con Stage Clear Studios. Parlando del comparto tecnico di questo gioco, contraddistinto da una grafica piuttosto spoglia e a tratti monocromatica, mi preme avvertirti che il primo impatto con il titolo potrebbe risultare piuttosto duro.
I limiti più evidenti di Tamashii sono praticamente tutti legati proprio al comparto tecnico del gioco e, sebbene questo al giorno d’oggi abbia indubbiamente una certa rilevanza, è interessante notare come lo sviluppatore abbia fatto in modo di ingegnarsi, per far sì che il livello piuttosto basso di certi aspetti venisse compensato dalle forti sensazioni instillate nel giocatore.
In altre parole, nonostante la grafica piatta e il comparto sonoro tutto sommato dimenticabile, Tamashii arriva comunque a essere un prodotto che, nella sua semplicità, riesce a trasmettere piuttosto bene quelle che mi sono sembrate essere le sensazioni ricercate dal suo creatore.