Dopo una campagna Kickstarter dimostratasi degna di oltre 11,000 €, un periodo di closed beta atto a testarne le qualità e il rinvio del debutto fissato ad agosto, The Amazing American Circus è a un passo dall’immissione sul mercato (16 settembre 2021) e dunque pronto più che mai a essere analizzato.
I due team al lavoro sul titolo, Klabater e Juggler Games, saranno riusciti a sintetizzare una formula che abbia qualcosa da offrire agli occhi di chi apprezza i videogiochi di carte collezionabili? E vista la natura del loro progetto, che invece di limitarsi a questo punta alla promiscuità nata dal connubio di più elementi, avranno trovato il giusto equilibrio fra le soluzioni adottate?
Il più grande show sulla faccia della Terra?
Volenti o nolenti, The Amazing American Circus ci pone nei panni di un uomo che dopo la perdita del padre sceglie di gestirne il vecchio circo ormai in disuso e trascurato, nella speranza di prender parte a un’importante competizione il cui premio basterebbe a risollevare l’intera famiglia.
Il gioco, al netto delle sue cutscene a diapositive prive di sottotitoli ed effettivo mordente, vanta quindi una trama che fornisce – se non altro – un motivo per voler procedere e alla pari di come ci chiede di sbalordire il nostro pubblico, cosa che ovviamente approfondirò a tempo debito, riesce a sorprendere per un occhio alla narrativa piú sviluppato di altri indie a lui affini.
Limiti di sceneggiatura a parte, The Amazing American Circus direziona però la propria lente su un setting originale e poco esplorato, al punto da suscitare un potenziale interesse in maniera naturale, sincera e immediata. Questo suo valore di carattere culturale, legato a doppio filo con la storia americana propria della cosiddetta Gilded Age (fine del XIX secolo), eleva il tempo passato a leggere e porta a volerne sapere di più.
Tra celebrità storiche o immaginarie che siano (Nikola Tesla, Buffalo Bill, D. Rockefeller ecc.), creature del folklore e nozioni riguardanti le numerose località visitate, The Amazing American Circus ha al suo arco una cornice che fa il suo dovere senza troppi inciampi. L’anima dell’opera, tuttavia, è da ricercarsi nel gameplay e torniamo dunque alle platee che aspettano d’esser stupite.
Un esercito di freak all’opera
Dovendoci spostare di città in paese nel tentativo di farci un nome è inevitabile arrivare a patti con le possibili reazioni di ogni spettatore disposto a guardarci. Solamente sfruttando i trucchi a disposizione dei nostri fedeli artisti, che nel caso di The Amazing American Circus corrispondono a molteplici carte, sarà possibile mettere in piedi uno spettacolo indimenticabile.
Selezionati i nostri tre animali da palcoscenico, numero fisso durante lo show ma ai quali si aggiungeranno numerose reclute (per un totale di ben 15 classi di circensi), lo spettacolo si muove quindi sui binari di un botta e risposta fra le nostre carte e i turni del pubblico pagante; un gioco basato sul continuo riciclo del tuo mazzo e vicinissimo a quanto visto in Slay the Spire.
Senza entrare nello specifico delle meccaniche più immediate, comunque sia, va detto che gli sviluppatori hanno cercato di pontificare sulle solide basi appena citate. Come? Impreziosendo a loro modo la struttura di partenza con dettagli che aggiungono un accenno di profondità, cosa rappresentata alla perfezione dal funzionamento del Focus dei nostri mattatori.
Più lo show si protrae, più gli artisti faticano a mantenere alta la concentrazione e nel caso venisse persa – perché erosa dagli spettatori o dopo aver terminato le carte nel mazzo – saremmo costretti a dire addio a una nostra carta del mazzo. In questo senso, The Amazing American Circus non rende semplice ribaltare una situazione tutt’altro che favorevole, spingendo il giocatore a dover soppesare ogni sua mossa in attesa del Finale.
Tutto sotto controllo, o quasi
L’importanza del gestire la barra del gran Finale, influenzata dalle carte giocate e sfruttabile solo se piena, è pari all’elevata attenzione necessaria a mantenere operativo il nostro circo. Dall’ingaggio di nuovi artisti agli approvvigionamenti destinati al viaggio, passando per l’amministrazione dei bonus e malus maturati dal nostro party, la corretta conduzione dell’intera attività rappresenta un fondamento della produzione.
A tal proposito, dopo Slay the Spire, mi è impossibile non citare anche l’acclamato Darkest Dungeon e assicurarti che, se hai apprezzato i suoi aspetti gestionali, The Amazing American Circus potrebbe fare decisamente al caso tuo. È partendo ancora una volta da un’ossatura già rodata che il gioco tenta quindi di approfondire i suoi fattori, ma l’effettivo impatto di ogni variazione rischia di venire inteso come risicato.
Ad avere un rilievo più pressante sarà invece il denaro guadagnato nel tempo, valuta che in The Amazing American Circus serve sempre e finisce subito. Vista poi l’impossibilità di ripetere spettacoli in località già visitate e il bisogno di applicare un turnover per assecondare i gusti del pubblico – continuando così a investire risorse su nuovi artisti – i miei dubbi sul bilanciamento dell’intera esperienza possono considerarsi quantomeno legittimi.
Tecnicamente in bilico
Parole incerte anche in direzione del comparto tecnico e artistico, dato che The Amazing American Circus fa sfoggio di qualche chicca ma non entusiasma certo da ogni punto di vista. A partire dalle sue animazioni e dalle oltre 200 carte illustrate a mano, troppo semplici e poco variegate per evitare l’anonimato, l’opera dei due team polacchi faticherebbe a distinguersi se non fosse per l’azzeccata colonna sonora.
Ispirata ai classici accompagnamenti da circo e al country folk americano, il sottofondo dei nostri viaggi attraverso le regioni presenti nel gioco basta infatti a rendere piacevole il tempo passato in sua compagnia. A meritare elogi è anche l’ottima stabilità generale del titolo che nonostante disti ancora sette giorni dall’uscita, non ha mostrato alcun segno di bug o inciampi gravi.
Poco da dire invece riguardo ai dimenticabili effetti sonori, una componente sottovalutata in fin troppi giochi di carte, mentre è apprezzabile l’evidente impegno dedicato al doppiaggio senza il quale l’immersività sarebbe stata problematica.