The Blackout Club è un Indie dalle caratteristiche interessanti, sviluppato dal team di Question Games, e presenta una struttura fortemente narrativa, dal tema giovanile e adatto a tutte le fasce d’età.
Si tratta di un titolo cooperativo con basi stealth, competitivo e legato da caratteristiche tipiche di quei videogiochi che si ispirano anche a serie come Stranger Things, che hanno un impatto molto deciso sul pubblico.
Gettando queste basi The Blackout Club molto difficilmente riesce a trovare la propria inquadratura, sfiorando il rischio di divenire senza senso per le troppe meccaniche che lo compongono, portando anche un senso di disorientamento al videogiocatore che si ritrova principalmente a intraprendere missioni in maniera piuttosto disordinata. Nonostante le componenti del gameplay e della narrazione siano ottimali, il low-budget si nota non poco.
Un team di tutto punto
C’è da mettere sotto i riflettori che Question Games vanta un team dalle caratteristiche notevoli e possiamo dire anche impeccabili. Coloro che si celano dietro lo sviluppo del titolo sono ex membri di Irrational Games, creatori di titoli come Bioshock e Bioshock Infinite citando solo alcuni titoli da loro creati e da altri ex membri di Arkane Studios creatori di Prey e Dishonored.
Ovviamente The Blackout Club si distacca nettamente da questi titoli nonostante la componente in prima persona immerga il videogiocatore in maniera completa e appagante, componente che nei titoli sopracitati costituisce la punta di diamante dell’intero progetto.
La città che non dorme mai
The Blackout Club si svolge nelle strade del sobborgo chiamato Redacre, dove eventi del tutto singolari avvengono durante la notte. Gli adolescenti della città si risvegliano ogni notte lontani dai loro letti, ritrovandosi in un vagone abbandonato o addirittura in mezzo alla foresta che circonda il sobborgo, vivendo quella che sembra l’altra faccia posseduta da Redacre come anche il comportamento degli adulti che vi abitano.
Questi ultimi sembrano vivere una sorta di sonnambulismo che li trasforma in esseri inanimati all’apparenza, ognuno con la propria caratteristica, che li porta a vagare per la città e a “catturare” tutti coloro che si aggirano da “svegli”.
Non sapendo quali ragioni e quale mistero si aggiri intorno a tutto questo, i ragazzi del sobborgo decidono di unire le forze e indagare su cosa stia accadendo alle loro famiglie e alle persone che conoscono, tentando tutte le volte di uscirne indenni e senza essere catturati dagli adulti. Prima di analizzare la componente gameplay, vorrei soffermarmi sulla tematica profonda e riflessiva che tratta il titolo, ovvero quella del rapporto adolescente-adulto e delle incomprensioni che sono il centro focale di tale rapporto. Tutti da adolescenti abbiamo sempre guardato gli adulti con occhio di disprezzo, chiedendoci il perché di tutte quelle decisioni che, andando contro di noi, ci apparivano senza senso e con l’intenzione di impedirci quella determinata cosa.
In The Blackout Club il giocatore dovrà affrontare varie tipologie di avversari che vanno dallo Sleeper che sembra non accorgersi visivamente dei nostri movimenti, un vero e proprio sonnambulo, il Lucids dalle apparenze normali e vigili, il “The Shape“, un’ombra che sembra inseguire costantemente i ragazzi, arrivando allo “Stalker“.
Il nemico chiamato “The Shape” è un particolare mostro che come Freddie Kruger vive nella mente dei ragazzi, terrorizzandoli ogni qualvolta si manifesti e inseguendoli senza tregua.
Un gameplay interessante
La prima parte di questo titolo funge da tutorial e da prologo, catapultando il videogiocatore in una delle situazioni dalle meccaniche lineari seppur ben congeniate. Basato espressivamente sul giocatore singolo, si vestiranno i panni della prima persona che ha tentato di svelare i misteri di Redacre per poi svanire misteriosamente.
Ciò che rende il gameplay di The Balckout Club particolare sono sostanzialmente alcune particolarità che rendono l’esperienza interessante ma allo stesso tempo stancante, portando il giocatore a provare disinteresse dopo poco tempo. L’esperienza multiplayer associata ai diversi modi in cui si possono affrontare le missioni è la base di un gioco che cerca di invogliare il giocatore a spaventarsi ancora e ancora man mano che si approfondisce la lore.
Qui si tocca il punto dolente di un titolo che per sua sfortuna non ha potuto godere di un consistente budget, con una scarna varietà di missioni, in quanto Redacre è un sobborgo abbastanza piccolo, e con una densità bassissima di luoghi da esplorare. Le cose da fare sono sempre le stesse, cosa che non è poi così dannosa data la natura multiplayer, ma andando ad intaccare la voglia di approfondire la storia che circonda il titolo, data anche la varietà misera di nemici che si devono affrontare.
Trattandosi di un gioco stealth e a tema adolescenziale, tutti i gadget e le armi a disposizioni sono non letali, il che di per sé è un particolare interessante dato che in pochissimi titoli viene considerata la componente “nessuna uccisione”. Ma nonostante nessuno possa essere ucciso, commettere troppi “peccati” porterà all’ira del mostro chiamato “The Shape” che si lancerà all’inseguimento del bambino cattivo di turno, che se catturato verrà lasciato in uno stato catatonico da cui solo gli altri giocatori potranno svegliarlo. Questo rappresenta un ulteriore aspetto di quel rapporto tra adolescenti e adulti, come se le conseguenze delle nostre azioni vengano riprese da uno di essi.
Qui entra una delle componenti più originali del titolo, in quanto se si vuole conoscere la posizione del mostro, il giocatore dovrà “chiudere gli occhi” del proprio personaggio e in questo stato riuscire a localizzare la sua presenza per sfuggirgli.
Questa particolare meccanica, oltre a oscurare la vista del giocatore, è utile anche per seguire un sentiero composto da impronte di scarpe che porta all’obiettivo di missione. Nel momento in cui si chiudono le palpebre lo schermo diventerà completamente nero, rendendo visibili tutte le cose che ad occhi aperti non lo sono.
Oltre alle armi non letali il sistema di potenziamento si basa su delle carte, che possono essere sbloccate grazie al numero di missioni compiute, un po’ come se si trattasse di punti esperienza. Esistono le carte attive che rappresentano specifiche azioni che possono essere compiute dal personaggio, e quelle passive che aumentano la salute o donano determinati gadget.
Ma ora passiamo alla componente più intrigante, seppur scioccante, di questo titolo, ovvero dell’Enhanced Horror System.
Si tratta di registrazioni effettuate dal videogiocatore tramite la propria voce, che possono essere utilizzate per raccogliere indizi ed elementi collegati ai personaggi. Oltre a questo, le registrazioni possono essere utilizzate per “i rituali” presenti all’interno del titolo attivabili grazie a specifici oggetti che vi chiederanno di registrare qualcosa con la vostra voce. Un sistema difficile da spiegare a parole ma che rappresenta il vero sforzo che i ragazzi di Question Games hanno messo in The Blackout Club.