The Church in the Darkness è un gioco di infiltrazione-azione sviluppato da Richard Rouse III (noto per essere stato il designer del gioco d’azione horror The Suffering) e rilasciato il 7 agosto 2019 per PlayStation 4. Attualmente è disponibile anche per Xbox One, PC e Nintendo Switch.
Sinossi
Nel 1976, Isaac e Rebecca predicano ideali quali l’uguaglianza, il socialismo e il comunismo, in netta opposizione allo sfrenato capitalismo e materialismo su cui si fonda il governo degli Stati Uniti. Intorno a loro, si crea velocemente il consenso di quelle fasce di popolazione oppresse e facilmente influenzabili, relegate nelle periferie, in difficoltà economiche e fuggiasche. Decidono così di fondare Freedom Town, in una giungla isolata del Sud America, dove creano una comunità basata sulla preghiera, sul “ritorno alla natura” e sul comunismo inteso alla maniera platonica, di comunione dei beni.
L’ex agente Vic, viene incaricato dalla sorella, Stella, di infiltrarsi nella comunità della “Missione della giustizia collettiva” per trovare e portare via il figlio Alex, che ancora ragazzo, infatuato dagli ideali promossi da Isaac e Rebecca, decide di recarsi nella città e abbracciarne il culto.
Gli approcci che potremo assumere sono di tipo conciliante oppure violento e da essi dipenderanno i 19 finali che potremo sbloccare.
Gameplay
Siamo in una giungla in Sud America, siamo infiltrati, si suppone, dunque, che la fitta e folta vegetazione sia l’aspetto grafico tra i più rilevanti, che sia dinamico e che ci consenta di nasconderci e mimetizzarci. Purtroppo, invece, le cose vanno in modo molto diverso da quello che ci potremmo essere immaginati. La flora di The Church in the Darkeness è immobile, quasi fatta di cemento, non è possibile addentrarci e nasconderci tra la vegetazione né, tanto meno, mimetizzarci tra il verde delle foglie, figurarsi poi con la camicia bianca di Vic che si vedrebbe anche dalla luna.
Ecco la prima crepa del gioco. Un titolo stealth ambientato nella giungla, non può esimersi dallo sfruttare a proprio vantaggio l’ambiente di gioco, in effetti è possibile solo muoversi tra le abitazioni e nei dintorni di esse, in modo molto visibile e la possibilità di nascondersi nella giungla ai lati del perimetro di gioco, ci è quasi totalmente preclusa.
Questa scelta, a parer mio non sfrutta a pieno il potenziale del gioco e lo rende realisticamente forzato. Considerando che la visuale è dall’alto, è chiaro che il personaggio debba essere ben visibile, ma bastava creare dei piccoli spazi segreti o passaggi tra gli alberi, al lato della zona di interesse.
La seconda crepa del gioco, riguarda le sparatorie. Se fossimo decisi ad adottare un approccio più violento, avremo la possibilità di sparare alle guardie che sorvegliano, in modo quasi ossessivo, Freedom Town, ma probabilmente ci accorgeremmo subito, della scomodità nel premere il grilletto. Abbiamo a disposizione un piccolo cerchietto che possiamo muovere con gli analogici e che utilizziamo per mirare alla guardia. Questo comporta che il movimento risulti a scatti, poco intuitivo e poco fluido, soprattutto a primo impatto. Bisogna anche dire che, dopo averci fatto l’abitudine, non risulterà più un problema.
Muoversi tra le guardie può essere molto semplice o decisamente complicato, tutto dipende dai coni proiettati dai nemici che indicano l’ampiezza e la lunghezza del loro raggio visivo. Ergo, se non vogliamo essere scoperti e mettere in allarme l’intero campo, basterà tenerne conto e passare tra di essi. Se non trovassimo spazio sufficiente, basterà distrarre la guardia, lanciando dei sassi nella direzione che ci interessa; dopo di che essa, li seguirà come se fosse Pollicino con le molliche di pane.
Non dobbiamo farci ingannare da tutto questo. I coni sono visibili solo a modalità facile e normale ma a difficoltà maggiori saranno del tutto assenti e saremo noi stessi a doverli immaginare per passare inosservati alla vista dei nemici.
Sicuramente, la scarsa intelligenza artificiale che riscontriamo con le prime due modalità, non è minimamente paragonabile a quelle successive, e questo crea un divario enorme tra le une e le altre.
Se dovessimo essere scoperti, comunque, ci basterà correre lontano e nonostante le guardie abbiano attivato gli allarmi presenti e sparsi per tutta Freedom Town, non ci seguiranno a lungo e i nemici delle aree adiacenti, sembreranno non fare caso a quello che sta avvenendo.
L’equipaggiamento iniziale risulta un pò scarso, ma principalmente, mi ha sorpreso constatare l’assenza della pistola silenziata che sarebbe senz’altro più utile in una missione così delicata.
Per quanto riguarda l’aspetto più narrativo, come ho precedentemente detto, gli approcci possibili da adottare sono essenzialmente due: conciliante o violento (sembra quasi la retorica del “poliziotto buono, poliziotto cattivo”). Se adottassimo l’approccio più soft, otterremmo rapidamente il punto preciso della posizione di Alex, sulla mappa; inoltre se catturati, avremo altre due possibilità di scappare e di proseguire l’avventura. Con la violenza, invece, perderemmo molto più tempo a ricavare informazioni e avendo reso tutti ostili, una volta fatti prigionieri, verremo giustiziati a bruciapelo.
Questo concetto sicuramente restituisce più libertà e interazione al giocatore ma a volte tende a risultare poco “logico” in un gameplay. Nel momento in cui abbiamo fatto una lunga strada, superato guardie, e rischiato la vita per ottenere un’informazione, non c’è ragione per cui Vic, debba uccidere l’informatore. Mettere da subito le tre opzioni parla-stordisci-uccidi, non ha molto senso, lo ha solo in un momento successivo.
A questo punto, le crepe di The Church in the Darkness si infittiscono ma a evitare il crollo c’è sicuramente, una storia e un’atmosfera intrigante, frutto della passione dell’autore verso i culti religiosi e il loro lato oscuro; nonché la moltitudine di finali e di scelte che come convinto sostenitore della “narrazione aperta”, Rouse ci mette a disposizione.
Il lato oscuro dei culti
Rouse e la sua profonda analisi delle dinamiche interne ai culti religiosi, si nota irrimediabilmente all’interno del gioco e gli conferisce valore. La profondità e la meticolosità con cui costruisce la realtà di Feedom Town è notevole. Coglie le contraddizioni al suo interno e le riporta al giocatore con una sottigliezza degna di lode. Lo stesso nome “Freedom Town” evoca nell’immediato l’idea di libertà che contrasta, però, con l’intera struttura politica, economica e sociale proposta dai due leader. La città è cosparsa di altoparlanti e di allarmi che non fanno altro che inculcare le idee del culto come un lavaggio del cervello, a tutte le ore del giorno. Per non parlare, poi, del sistema di lavoro “forzato” al quale gli abitanti della comunità devono sottostare. Combattere lo sfruttamento del capitalismo con un altro sfruttamento forse peggiore, crea “nuovi” schiavi, rovescia il sistema, senza de-costruirlo. Ecco la bugia, il lato oscuro di Freedom Town.
In tutto il mondo di gioco questa realtà è ricostruita molto bene, l’atmosfera che si respira, i dettagli, l’ambientazione, le ideologie e le convinzioni; persino i collezionabili all’interno delle rustiche abitazioni. Tutto è studiato in modo accurato.
Grafica e sonoro
La grafica sembra riprendere i vecchi giochi PS1, vengono in mente titoli come Metal Gear e Hitman. È volutamente retrò e molto colorata, sicuramente è gradevole alla vista. Aggiungo anche, che la visuale dall’alto, permette una panoramica ampia e offre un’esperienza grafica completa dell’area di gioco. Sicuramente un aspetto molto positivo del titolo.
Il comparto audio non è male: gli altoparlanti sembrano essere reali, ci fanno sentire davvero immersi nella realtà di gioco e trasmettono il giusto stato di adrenalina e agitazione quando veniamo scoperti.