Sin dall’uscita del primo capitolo, Man of Medan, nel 2019 The Dark Pictures Anthology si è imposta all’attenzione del pubblico come una delle serie horror più interessanti degli ultimi anni.
Con la dicitura Anthology, tanto Supermassive Games quanto Bandai Namco, hanno voluto fare percepire al giocatore di stare giocando ad una serie, composta comunque da capitoli a cadenza annuale giocabili in maniera indipendente e che vede il proprio illustre predecessore in quell’Until Dawn che tanto ha fatto parlare di sé.
Dopo Man of Medan, lo scorso anno è toccato a Little Hope e quindi ad House of Ashes, terzo capitolo della serie uscito qualche giorno fa.
Come sempre, accompagnati dall’enigmatico (e anche un po’ inquietante) Curatore, andiamo a scoprire insieme il terzo capitolo di Dark Pictures Anthology, che se vogliamo è un po’ il punto di svolta dell’intera saga.
Saddam Hussein e Pazuzu
Cosa avranno mai in comune Pazuzu, divinità mesopotamica resa famosa al grande pubblico da L’Esorcista e l’ex dittatore iracheno Saddam Hussein? Ben poco in realtà, se non che entrambi provengono da quella che una volta era nota come Mesopotamia.
E proprio da lì, o più precisamente dalla città di Akkad, che inizia la storia di House of Ashes, ben 4000 anni fa mentre infuria la guerra tra Gutei e Accadi; ma quello che preoccupa il folle sovrano degli Accadi, e non solo, non è la guerra, quanto il castigo di divinità da lui oltraggiate….
Dopo un rapido prologo che serve ad introdurci la tematica principale, veniamo portati avanti nel tempo fino a raggiungere l’Iraq nel 2003, durante lo svolgimento dell’operazione Iraqi Freedom avviata dagli Stati Uniti e dagli alleati nel corso della più vasta offensiva antiterroristica scattata in reazione agli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001.
E’ proprio durante una missione di ricerca delle presunte armi chimiche in mano a Saddam che incontreremo i nostri protagonisti, legati l’uno a l’altro per diversi motivi: gli americani Eric e Rachel King, Jason, Nick e il tenente dell’esercito iracheno Salim.
La location e l’inclusione di entrambe le parti in guerra tra loro non deve però illuderci: Supermassive non ha intenzione di proporci le solite riflessioni trite e ritrite sulle storture della guerra e su come, dietro la divisa, siamo tutti uomini. La scelta è dettata più che altro da esigenze di trama ed è funzionale a tradurre in fatti il detto “il nemico del mio nemico è mio amico”, non sempre rispettato pero.
Del resto, gli elementi che rimandano alla controversa seconda guerra del Golfo sono limitati alla prima mezz’ora di gioco circa: questo perchè nel corso di una missione che ha come scopo quello di individuare un silo di stoccaggio delle armi chimiche, dopo un contatto tra le due fazioni e una breve sparatoria, a causa di un terremoto i superstiti si troveranno intrappolati in un antico tempio Accadico. E, chiaramente non saranno soli e si troveranno ad affrontare un male vecchio come il mondo che renderà la guerra in superficie e tutto il resto qualcosa di talmente superfluo da sembrare evanescente.
La mitologia unita alla storia crea il thriller perfetto
La storia raccontata in House of Ashes costituisce il punto di svolta della serie, che per la prima volta si rivolge alla mitologia per creare una storia con più ampio respiro e spessore rispetto a quanto visto nei due capitoli precedenti.
Il risultato complessivo è una trama avvincente, più da thriller soprannaturale che da horror vero e proprio, che rischia un po’ di perdersi con un finale per certi versi imprevedibile, ma che ci si potrebbe aspettare visto che sappiamo come in Supermassive siano appassionati di un certo tipo di film (purtroppo non posso svelarti quale altrimenti capiresti di cosa si tratta, ti dico solo che una fonte di ispirazione è sicuramente il film che ha riportato al cinema una saga horror fantascientifica molto amata).
Come di consueto, i personaggi sono legati tra di loro (tranne Salim) da situazioni preesistenti, che talvolta daranno vita a siparietti poco coerenti con quanto avviene intorno a loro: Rachel ed Eric sono sposati, ma da anni lontani (non solo fisicamente) mentre Nick è il nuovo interesse romantico, per così dire, della protagonista, interpretata da Ashley Tisdale che è la celebrità di turno.
A completare il quartetto di americani abbiamo il tenente Jason Kolchek, legato a Nick da una profonda amicizia; ultimo personaggio rimasto è l’iracheno Salim, trascinato suo malgrado in una sortita alla quale non avrebbe voluto prendere parte, stufo di una guerra ampiamente persa.
Si tratta di un cast di assoluto valore, in cui tutti i personaggi crescono nelle ore di gioco, crescendo anche nella nostra considerazione; non tutti si possono definire riusciti in toto e a seconda della nostra partita potrebbero avere uno sviluppo diverso (o non averlo affatto) ma ci fanno affezionare alle loro vicende, rendendo quasi sempre doloroso l’eventuale distacco da uno di loro.
Per alcuni personaggi, come Joey, bastano un paio di battute a rendercelo simpatico, altri come Eric hanno bisogno di più tempo, ma nel complesso risultano tutti personaggi “veri”.
Il Gameplay di House of Ashes
Il gameplay di House of Ashes non si discosta molto dai canoni della serie pur con qualche innovazione.
Come sempre nei titoli Supermassive dovremo compiere delle scelte che in primis definiranno la bussola dei rapporti tra i vari personaggi e che in alcuni momenti chiave delineeranno lo svolgimento della vicenda e il conseguente epilogo, con la conseguente salvezza o meno dei protagonisti.
La novità principale, dettata anche in questo caso da esigenze di copione, è la possibilità di muoversi liberamente: certo, gli spazi sono angusti e lo stesso sistema di controllo dei personaggi è ancora un po’ legnoso, ma una certa libertà di movimento è apprezzabile sia in termini di gameplay che per creare una certa sensazione di claustrofobia.
L’unico prezzo da pagare è in termini di velocità dal momento che, tranne durante i filmati o i QTE, non potremo far correre il nostro personaggio; per fortuna non abbiamo grandi spazi da percorrere e il ritmo del gioco non risulta compromesso da questa scelta.
Trovandoci in una struttura svariati metri sottoterra, e ciononostante un po’ troppo illuminata, potremo ricorrere a pratiche torce elettriche che unite al movimento libero ci consentono di esaminare più nel dettaglio l’ambiente circostante.
Se da un lato, incredibilmente, Supermassive non sfrutta quasi mai l’ambientazione per creare dei veri e propri jumpscare, l’esplorazione diventa importante per scoprire i classici segreti e dettagli nascosti utili ad avere un quadro completo degli avvenimenti e soprattutto per scovare le preziosissime premonizioni.
Toccando delle antiche tavolette sparse per i livelli vedremo un brevissimo filmato, di qualche secondo, che ci mostra la possibile morte di uno dei personaggi che potrebbe avvenire a breve.
In questo caso dovremo essere bravi ad interpretare il presagio, e farci trovare pronti a reagire: purtroppo l’estrema brevità del filmato talvolta ci impedisce di capire con chiarezza il personaggio coinvolto, per cui risulta un compito ancora più improbabile.
Diciamo anche, senza troppo timore di smentita, che nel corso della prima run dobbiamo rassegnarci al fatto che non riusciremo a salvare tutti.
Ma è una caratteristica tipica di questo genere di titoli, che ne aumenta la rigiocabilità in fondo.
Siamo in un film?
Le azioni a nostra disposizione, come da tradizione Supermassive, si svolgono tutte attraverso Quick Time Event; probabilmente sentendo parlare di House of Ashes come di un survival horror ti saresti aspettato maggior azione alla Resident Evil, in realtà siamo davanti ad un film interattivo in cui in certi frangenti dovremo reagire agli eventi su schermo.
Possiamo muoverci come in un action e avremo in mano delle armi, ma non possiamo sparare un colpo a meno che non sia previsto dal gioco e allo stesso tempo i nostri protagonisti si limiteranno a camminare, senza essere in grado di compiere ulteriori azioni come saltare o accucciarsi.
Quello dei QTE è un po’ il tasto dolente di House of Ashes e di questo genere di giochi in generale: spesso compaiono quando non ce l’aspettiamo e non sempre riusciamo a reagire in tempo, inoltre risultano visivamente invasivi, togliendo efficacia all’immedesimazione nei personaggi.
Se non possiamo fare nulla per modificarne l’impatto visivo, potremo agire sulle impostazioni per impostarne i tempi di reazione e tutto quanto ci può aiutare a vivere l’esperienza di gioco con pochissimo stress e goderne senza troppi affanni.
Tuttavia non possiamo considerarlo un limite vero e proprio, visto che parliamo di un genere che nasce con l’obiettivo di intrattenere attraverso la storia raccontata e non con il gameplay.
Il continuo cambio di prospettiva, da un personaggio all’altro, se per qualcuno potrebbe risultare straniante e poco piacevole, contribuisce ad aggiungere spessore ad un titolo complessivamente riuscito e che diventa il nuovo punto di riferimento della serie.
Tornando a parlare di rigiocabilità, House of Ashes presenta delle interessanti modalità multiplayer con cui potremo giocare con un altro giocatore online in split screen oppure, scegliendo l’interessante Movie Night, affrontare l’intera avventura in locale con 5 amici che si passeranno il gamepad scena dopo scena.
Segnali di Stile
La qualità grafica di House of Ashes è complessivamente buona, pur caratterizzata da alcune sbavature. Pur giocandolo su console next gen, non è un titolo che fa gridare al miracolo: le animazioni dei personaggi, specialmente quelle facciali, sono di alto livello così come le ambientazioni. Purtoppo però capita spesso un fastidioso effetto pop-up per cui i dettagli della scena vengono aggiunti una frazione di secondo in ritardo, dandoci la sensazione di una messa a fuoco errata e corretta successivamente e non credo proprio sia una scelta stilistica.
Nelle versioni next gen per PlayStation 5 e Xbox Series X sono presenti tanto il Ray Tracing quanto il 4K natio ed è possibile giocare nelle due modalità Prestazioni e Qualità, che comunque non ci fanno gridare al miracolo. Personalmente per non è un problema grave, preferendo sempre la sostanza (in questo caso alla storia) al contorno.
Di ottimo livello la recitazione dei protagonisti, che paradossalmente vede proprio la Tisdale un po’ più “spenta” rispetto ai suoi colleghi, così come molto buono è il doppiaggio in italiano specie se paragonato ai titoli precedenti dello studio britannico.
Naturalmente, per chi è più avvezzo all’idioma di Albione, è sempre consigliabile giocare il titolo in lingua originale visto che è sempre la versione con il miglior recitato.
Da valutare positivamente anche la colonna sonora, a partire dall’ormai iconica Conversation with Death che ci accompagna da Until Dawn e che qui fa da sigla di apertura.