The Last of Us Part 2 è il gioco del momento. Nulla da dire, nulla da aggiungere. Ne abbiamo scritto e ne scriveremo ancora molto da qui in avanti. Così tanto che definirlo “gioco” non rende l’idea di quello che realmente è l’opera targata Naughty Dog. Stiamo parlando di un prodotto completo, complesso, che contiene elementi videoludici e cinematografici unici, due mondi che negli ultimi ventanni si sono uniti alla perfezione.
L’intento dei videogiochi è sempre stato quello di essere il più coinvolgenti possibili. E per farlo, soprattutto i videogame AAA, hanno sempre puntato sulla grafica. La prima a capirne realmente l’importanza fu Square: l’unico modo per rendere un gioco per PlayStation 1 graficamente accostabile a quello che poteva essere un prodotto cinematografico era quello di inserire video prerenderizzati all’interno del gioco. Il primo tentativo fu eccellente ma non ebbe quell’effetto WOW desiderato: stiamo parlando di Final Fantasy VII, giocone, con sequenze interessanti ma niente di così impattante. La svolta arrivò col capitolo dopo: i video di Final Fantasy VIII erano qualcosa di assurdo se comparati alla grafica motore di gioco stesso. Fu la svolta.
Da allora, gli engine e le tecnologie applicabili al mondo dei videogiochi sono migliorate tantissimo. Dai video prerendirizzati si è passati ad un grafica in game che sembra fatta dai più grandi studi di CG di Hollywood, a giochi di luce che ti fanno pensare che sia il sole che entra dalla tua finestre e a texture talmente fatte bene che non sembrano manco texture. Potrei farti un elenco di giochi infinito, ma come da titolo, parleremo solo dell’ultimo caposaldo di quei videogiochi che puntano sempre di più a essere “più realisti del re”. Ovvero The Last of Us Part 2.
The Last of Us Part 2, il cross-gen dei cross-gen
Il primo The Last of Us fu uno di quei prodotti che segnò l’inizio di una nuova generazione. Pur lavorando su un hardware del 2006 (la PlayStation 3), sembrava già quasi un gioco da ottava generazione. E infatti, quando il remaster (anche se ovviamente con diversi improvement grafici) uscì per PlayStation 4, il suo successo non stupì nessuno. The Last of Us fu uno spartiacque, e la storia sembra doversi ripetere con il secondo capitolo.
The Last of Us Part 2 si è mostrato al pubblico in un periodo molto simile a quello del suo predecessore (ovviamente videoludicamente parlando), a cavallo tra una generazione e un’altra. E’ un gioco cross-gen, pronto ad affrontare la sfida su console diverse. E lo si vede già solo dalle differenti risoluzioni tra PS4 normale e PS4 Pro.
L’effetto “wow” c’è eccome, ma l’obiettivo di questo articolo è di scomporre quel wow cercando di dargli una spiegazione ed una valutazione quanto più obiettiva. E l’analisi fatta da Gaming Bolt ci aiuterà a sezionare in ogni singolo aspetto il perché di una riuscita grafica quasi perfetta.
Engine e la qualità del Background
Naughty Dog, lo sappiamo, è solita usare il proprio motore grafico. Lo ha fatto per Last of Us Part 2 e così per tutti i suoi giochi di punta. Stiamo parlando di un’evoluzione dello stesso engine che aveva guidato la prima storia di Ellie e del suo “accompagnotore” in quel fagocitante tour zombiesco.
L’engine di Naughty Dog ha sempre avuto una resa illuminativa migliore rispetto a tutti i competitor (ricordi il primo Uncharted?), e questo grazie ad una tecnica chiamata Deferred Rendering. Senza farti uno spiegone pesante su di esso, ti basta pensare alla parola Deferred, ovvero differito. In poche parole prima di generare l’immagine finale, viene prima calcolata la risposta della luce a tutte le superfici e oggetti presenti nella scena. E solo dopo tale diffrazione viene calcolata l’immagine (totale) finale.
Un forte contrasto e quindi un forte realismo. Più di qualsiasi altro engine. E in The Last of Us Part 2 abbiamo (ovviamente) la miglior riuscita. Un intervallo di luce dinamica maggiore, la maggior fedeltà rispetto alla luce naturale. Il modo in cui ogni superfice risponda alla luce “naturale” è sorprendente, la più sorprendente mai avuta su un videogioco.
Il discorso luce è intrinsecamente legato al discorso rendering dei materiali, ed è forse qui che l’engine stupisce di più. Praticamente tutto il “background” del gioco è composto da materiali PBR, ovvero attualmente i più “realistici” (cioè che rispondono alla luce nel modo più naturale) a disposizione degli sviluppatori. Se a questo aggiungiamo una risoluzione delle texture praticamente perfetta a 1080p, eccoti la miglior collaborazione tra un engine e il suo gioco di riferimento
I personaggi: Il Motion Matching
I personaggi in The Last of Us sono stati fondamentali per il suo successo. E così, anche la loro resa grafica. In questo Part 2, Naughty Dog ha scelto di utilizzare una tecnologia presentata due anni fa, al momento dell’annuncio di questa opera: il Motion Matching. Che cos’è? E’ una tecnica di interpolazione tra più animazioni infinitesimali per comporne una più importante. E le animazioni vengono scelte dal motore in base al contesto.
Quindi la corsa, l’accovacciamento o qualsiasi cosa relativa al movimento dei nostri protagonisti non sarà uguale ovunque. Diciamo che in The Last of Us Part 2 non sono solo i personaggi a reagire all’ambiente circostante, ma anche le animazioni stesse.
Solo un altro engine era riuscito a fare tanto sino ad ora: stiamo parlando del RAGE di Rockstar. In The Last of Us Part 2 Naughty Dog è riuscita a dare realtà all’accidentalità. Forse la cosa più difficile nel campo della motion animation. E fidati, far inciampare per caso “realmente” un personaggio 3D è molto più complesso che farlo saltare da un palazzo e fargli afferrare una fune nel vuoto. E questo perché? Perché tu sai benissimo come si inciampa, molto meno come si prende al volo una fune. E la percezione in The Last Of Us 2 è che quando Ellie inciampa… Semplicemente inciampa. Non simula di inciampare. Ed è una cosa incredibile.
Antialiasing e Post-Processing
Antialiasing e Post-Processing, ne avrai sentito parlare 280 000 volte. E sono due processi fondamentali per migliorare la qualità del gioco quando si va a ridurre la risoluzione degli elementi (ad esempio quando il numero di poligoni presenti all’interno dell’immagine devono essere diminuiti per una richiesta di calcolo troppo elevata per la CPU). E ricordati: il downsampling è alla base di qualsiasi gioco di alta qualità. The Last of Us non fu proprio maestro nel maneggiare queste due tecniche: il contrasto tra la parte renderizzata e lo sfondo a bassa qualità era troppo netta. Diciamo che avevano optato per sfocare un po’ tutto per evitare troppi casini.
Beh, in questo nuovo capitolo l’attenzione ad Antialiasing e Post-Processing è stata alzata nettamente. Come già visto in Uncharted: Lost Legacy, anche qui Naughty Dog ha lavorato su un doppio livello di risoluzione dei processi. Niente più sfocature generali insomma, esaltando di più il concetto di border shading ad alto livello. Un altro passaggio fondamentale inserito nei processi renderizzanti di The Last of Us Part 2 è il Motion Blur, che permette al Motion Matching sopra citato di lavorare al top anche in qualità di dettagli troppo elevati da dover elaborare in post processing. Il tutto per una fluidità unica.
Particle Rendering
Last but not Least il rendering particellare. Non stiamo parlando di uno Star Wars o Battlefield, quindi di esplosioni e simili qui non ve ne sono tantissime. Eppure, in un gioco dove il silenzio è padrone, ogni singola botta di luce, fuoco o polvere degli interni abbandonati diventa enfatizzazione di un momento. E per enfatizzare The Last Of Us Part 2 serve una qualità di particle rendering degna del titolo di Naughty Dog. E quello che offre questo gioco, da questo punto di vista è unico. Tralasciando tutte le parti tecniche, vorrei soffermarmi sulla polvere.
Ogni raggio di luce che trapassa una finestra di un edificio è risaltato ancora di più dalla polvere degli interni, che in un Survival Horror come questo è la base. L’angoscia, la solitudine, l’abbandono. Tutto, in un raggio di luce impolverato. Diciamo che il particle rendering di The Last of Us part 2 non è da mettere nei libri come esempio tecnico, ma come esempio emotivo. Non serviva esagerare, serviva farlo bene, e lo hanno fatto.
La risposta è: sì
The Last of Us Part 2 è arrivato sui nostri scaffali (digitali e non) alla fine di una generazione. Una generazione che ha fatto della Looking Graphic il suo caposaldo, forse ancora di più della giocabilità stessa. E, dopo questa lunga riflessione, possiamo dire che ne rappresenta probabilmente il massimo esponente. E non pèrché non ve ne siano altri che se la possono giocare, ma perché rappresenta il compimento di un cammino. Quello del realismo ai tempi della PlayStation 4.
E il realismo arriva quando arrivano le emozioni. Attraverso ogni singolo granello di polvere. Il futuro è dietro l’angolo, arriverà il Ray Tracing, arriveranno GPU più performanti e nuovi engine, ma il ricordo di questo The Last of Us Part 2 sarà fresco sempre, come quello dei video prerenderizzati in Final Fantasy VIII.