Nonostante io sia una grande ammiratrice della saga di The Legend of Zelda, il fatto che questa serie di Nintendo sia estremamente significativa nella storia dei videogiochi, anche per chi non ha mai giocato alcun capitolo, è un dato oggettivo inconfutabile. Dopotutto Ocarina of Time e Breath of the Wild hanno dei punteggi molto alti nelle classifiche Metacritic e sono considerati, dai più, come i videogiochi più belli della storia, soprattutto per quanto concerne il capitolo per Nintendo 64.
Tra un Ocarina of Time, un Twilight Princess e un Tears of the Kingdom, però, abbiamo anche dei capitoli che sono presi in minore considerazione: vuoi per la piattaforma sulla quale sono approdati, vuoi per delle scelte che l’hanno resi “meno canonici”, ma alcuni titoli della serie non ricevono quello stesso rispetto riservato ai suddetti “mostri sacri” e, anzi, gran parte dei videogiocatori nemmeno li conosce, se non tra seguaci della saga. Questo è il caso dello sfortunato The Legend of Zelda: The Minish Cap.
Una nuova trasformazione per il nostro Link
Il personaggio di Link è una costante della serie, essendone il protagonista, così come invariata è la sua continua metamorfosi all’interno dei vari episodi: il nome stesso, che in inglese si traduce con “collegamento” indica proprio il mutevole confronto tra due versioni diverse di sé stesso destinate, volta per volta, ad incontrarsi.
Per esempio abbiamo il Link bambino che diventa adulto in “Ocarina of Time” o il viaggiatore tra due mondi in “A Link to the Past”. Non tutti sanno, però, che Link ha anche vissuto un’avventura a metà tra due dimensioni! In The Legend of Zelda: The Minish Cap il nostro eroe diventa infatti capace di rimpicciolirsi ed esplorare Hyrule da un punto di vista inedito e pieno di possibilità.
Sebbene il concetto di trasformazione sia appunto una costante della serie, in rare occasioni questa stessa ha contribuito a modificare così tanto l’esperienza di gioco: da rimpicciolito, Link può entrare in luoghi altrimenti inaccessibili e conversare con microscopici personaggi nascosti tra i fili d’erba, oltre a poter sfruttare in modo alternativo gli oggetti a sua disposizione.
Una “mosca bianca” per la serie di Zelda
Molti sono gli elementi che contribuiscono a rendere questo capitolo della leggendaria serie, sebbene faccia parte della serie principale come dimostra la sua presenza nella timeline ufficiale, un titolo inusuale. In primo luogo, è il primo capitolo della saga a non avere Nintendo come unico sviluppatore principale, poiché anche Capcom contribuì alla realizzazione dell’avventura.
Un altro elemento inusuale è certamente l’assenza del villain per eccellenza, il malvagio re dei Gerudo Ganondorf: il cattivo di turno è infatti un personaggio inedito che apparirà solamente nei titoli della serie targati Capcom (quindi anche in Four Swords e Four Swords Adventures), l’inquietante stregone Vaati.
Agli elementi inusuali si sovrappone senza forzature una serie di elementi classici della saga: i dungeon, le missioni secondarie, la principessa Zelda da salvare ancora una volta, e numerosi personaggi dei capitoli precedenti che fanno il loro ritorno, come Terry, il mercante di The Wind Waker. Inoltre, non manca una “guida” più o meno fatata che ci accompagna nel corso dell’avventura: questa volta non è la fastidiosa fatina Navi, ma il cappello parlante Ezlo.
Controlliamo il nostro Link all’interno di un’Hyrule dalla palette sgargiante che non impallidisce di fronte ad esperimenti più moderni (e parliamo di un gioco che ha la mia età… diamine sto invecchiando!) con una visuale a volo d’uccello chiaramente ispirata ad A Link to the Past. Di fatto, come spesso capita per i titoli 2D della serie, l’ispirazione al capolavoro per SNES è presente sotto tanti punti di vista: la struttura dei dungeon, l’uso degli oggetti e il sistema di combattimento lo riprendono senza nemmeno tentare di nascondere la fonte d’ispirazione iniziale.
Forse proprio la ripetitività, rispetto al passato della serie, della struttura di gioco ha fatto sì che questo titolo venisse prontamente surclassato dai nuovi ed interessanti capitoli in tre dimensioni che, proprio contemporaneamente a The Minish Cap, approdavano sul mercato: d’altronde, solo un anno prima, era uscito il controverso ma immenso The Wind Waker e, solo un anno dopo, arriverà su GameCube il monumentale Twilight Princess.
I capitoli della serie usciti su console portatile, un filone nato con il leggendario Link’s Awakening su quella mattonella che era il Game Boy, non hanno mai goduto insomma della stessa popolarità delle controparti su console casalinga: vuoi per le dimensioni ridotte del mondo di gioco, per la brevità della storia e, spesso, proprio per il loro “atteggiarsi” a spin-off, riproponendo l’ormai vetusto gameplay in due dimensioni che però, console alla mano, continua a funzionare egregiamente, al di là delle apparenze.
Cosa ne ricaviamo, insomma, dal mettere da parte un capitolo come The Minish Cap, considerandolo di fatto secondario e poco utile per la storia della serie? In realtà perdiamo molto, più che altro. La struttura semplice ma ingegnosa dei dungeon, l’ottima scrittura dei personaggi e la struttura vivida e ricca di azione del semplice mondo di gioco lo rendono uno Zelda più che valido, soprattutto tenendo conto del tipo di piattaforma sulla quale girava.
Adesso, inoltre, abbiamo l’opportunità di recuperare il gioco anche su console moderne: ora come ora, un remake non sembra essere in lavorazione ma, in compenso, Nintendo ha introdotto il gioco all’interno del catalogo riservato agli abbonati al servizio Nintendo Switch Online + pacchetto aggiuntivo, che include una libreria dei migliori titoli mai pubblicati su Game Boy Advance.
Insomma, non si possono più accantonare scuse per non dare una possibilità a questo titolo, ancora fluidamente giocabile proprio per quel suo essere così correttamente inserito all’interno dello “schema perfetto” edito da A Link to the Past, proponendo di fatto un’esperienza alla portata di tutti. Tra l’altro, completare questa avventura risulta particolarmente utile per gli appassionati che desiderano ripercorrere la timeline ufficiale della serie, in quanto questo titolo viene subito dopo, cronologicamente parlando, il “capostipite” Skyward Sword.