The Oregon Trail è uno dei più famosi esempi di eduntainment, ovvero di un videogioco che riesce a combinare l’intrattenimento con una sana istruzione, dando al giocatore principi da comprendere, o semplicemente descrivendo avvenimenti storici che poi vengono memorizzati a furia di giocare.
Parliamo infatti di un titolo decisamente vecchio, che è stato anche al centro di alcune critiche di stampo politico, per via di una rappresentazione distorta della storia dell’espansione a ovest. Ora, molti anni dopo, The Oregon Trail torna in veste tutta nuova, con un remake che cambia in parte le carte in tavola. Vediamo se vale la pena giocarlo nella nostra recensione.
The Oregon Trail: una storia di conquista
The Oregon Trail ci mette nei panni degli esploratori che hanno originariamente seguito la pista dell’Oregon, appunto, ovvero un viaggio verso ovest finalizzato alla colonizzazione dell’America. Partendo dalle prime colonie, infatti, le popolazioni immigrate in America si spostarono progressivamente a Ovest, nel corso di pellegrinaggi decisamente pericolosi e realizzati con pochi mezzi a disposizione. Questo ha portato alla nascita di diversi miti, come quello del West, e alla creazione di un tessuto culturale che ha conseguenze ancora oggi, per esempio nell’emendamento della costituzione che prevede il diritto di possedere armi.
Tutto questo, chiaramente, viene solo accennato in The Oregon Trail, che di base ha un comparto narrativo quasi inesistente. Molto semplicemente, una breve sinossi ci spiega l’incipit del titolo e siamo subito pronti a partire. Chiaramente, parliamo di una scelta narrativa e non di un limite dalla produzione, la quale ricalca il titolo originale uscito moltissimi anni fa.
The Oregon Trail: dove la gente muore di dissenteria!
The Oregon Trail punta quindi tutto sul gameplay, che si dimostra il cavallo di battaglia della produzione. Alla base, il loop è molto semplice e per certi versi ricalca la struttura “alla rogue” a cui ormai siamo abituati. Non siamo però davanti a un roguelike, ma a un gestionale con elementi survival.
Ogni partita ci vede partire da un certo avamposto, per poi spostarci verso altri luoghi vicini, selezionandoli da una mappa divisa in vari nodi. Dopo aver selezionato un certo nodo si accede a una seconda mappa, a sua volta composta da vari nodi con eventi casuali, in modo simile a quanto visto su Slay the Spire. Ogni singolo nodo ci vede poi proiettati nel gameplay vero e proprio.
Qui osserviamo il nostro gruppo avanzare con il carro trainato dai buoi, mentre diverse meccaniche vanno gestite tutte insieme. Tanto per cominciare, ogni personaggio ha diverse statistiche da prendere in considerazione: punti vita, stamina, igiene e umore. Tutto ciò che accade in viaggio influenza in qualche modo una di queste barre, che quindi deve necessariamente essere gestita.
Mentre alcune statistiche come i punti vita hanno effetti ovvi, non bisogna comunque trascurare quelle che possono apparire come secondarie. La stamina e l’umore basso, ad esempio, possono causare status negativi o addirittura la morte se non presi in considerazione. Allo stesso modo, viaggiando possiamo imbatterci in stati alterati come le malattie o effetti particolari, come conseguenza di determinati imprevisti. In tutti questi casi, delle scelte oculate o degli oggetti possono aiutare.
E vale proprio la pena parlare di questi ultimi. Il nostro carro corrisponde a un inventario diviso a griglia, con i vari oggetti che occupano una o più caselle. Quando il carro viene danneggiato, si perdono letteralmente caselle, facendo quindi ridurre lo spazio dove inserire oggetti raccattati in giro. Al contrario, riparare il carro vuol dire guadagnare spazio per l’inventario. Gli oggetti possono avere diverse funzioni, come curare status alterati di un certo tipo (come la medicina per le malattie o l’armonica per la disperazione) o aumentare le statistiche principali quando sono in calo.
In altri casi, gli oggetti sono necessari per interagire con alcuni punti di interesse o per operare determinate scelte. Per andare a caccia e procurarsi la carne, per esempio, servono munizioni nell’inventario. Allo stesso modo, per attraversare il fiume è possibile isolare il carro, a patto di avere delle pelli di animale. Tutto questo può poi essere venduto o barattato in molti modi, per ottenere altri oggetti che potrebbero essere necessari in una certa situazione.
Ogni partita di The Oregon Trail diventa quindi una gestione oculata di diversi fattori. Tanto per cominciare la mappa, che con le varie destinazioni mette di fronte al giocatore ostacoli e scelte. In secondo luogo abbiamo i personaggi, con tratti e statistiche che influenzano le loro prestazioni nelle scelte multiple. Infine abbiamo gli oggetti, a loro volta necessari per gestire le statistiche, curare status alterati o addirittura per poter scegliere determinate opzioni davanti agli ostacoli.
Il loop generale ci vede quindi selezionare una destinazione, incontrare vari ostacoli lungo il cammino da risolvere con le varie scelte multiple (influenzate da oggetti e personaggi), per poi prendere in considerazione il benessere del gruppo e del carro stesso. Sotto questa apparente semplicità si nasconde però un gameplay profondo e appagante, il quale sa essere brutale con i giocatori che non ragionano abbastanza sul bilanciamento rischio/ricompensa.
Il game over, infatti, arriva quando non abbiamo più a disposizione membri del gruppo, oppure quando rimaniamo senza carro e questo può accadere anche in modo indiretto per una scelta effettuata senza la giusta accortezza. Attraversare un fiume senza isolare il carro, per esempio, può portare a perdere munizioni, che nel mid game si dimostrerebbero fondamentali per procacciarsi il cibo. Quella che può sembrare “sfortuna” resta quindi la conseguenza di una scelta povera.
Non parliamo però di un gioco perfetto. Tanto per cominciare, la formula di gioco così fedele a quella originale è anche un punto di debolezza, visto che crea una struttura ripetitiva e con un skill ceiling non troppo alto. Questo si vede anche in alcuni mini giochi, come quello della caccia (in cui gli animali ci corrono incontro e si spara con una visuale dall’alto e la levetta analogica), che però non sono mai troppo complessi o impegnativi.
Infine, va detto che lo svolgersi di alcuni eventi, nonostante possa essere influenzato dalle nostre scelte, è comunque dettato dal caso, a volte in maniera eccessiva. Viste le potenziali conseguenze devastanti di una scelta andata male, non sempre questo è accettabile. In ogni caso The Oregon Trail resta un titolo incredibilmente riuscito, perfetto per qualche partita breve o per momenti interstiziali.
Tecnicamente pregevole
Il comparto tecnico di The Oregon Trail è davvero ottimo, grazie a uno splendido stile 2.5D. Il titolo combina infatti ambienti ed elementi tridimensionali con sprite bidimensionali, condendo il tutto con effetti di luce che danno ulteriore profondità al tutto, creando un colpo d’occhio generale davvero piacevole. A questo si aggiunge una riuscita estetica cartoon, che valorizza il tutto ancora di più.
Infine, il comparto sonoro è ottimo, con musiche ed effetti sempre adatti alle varie occasioni.