Uno degli autori di videogame più controversi di sempre è Suda 51; Goichi Suda, questo il suo vero nome, è uno dei quei personaggi che o si odia o si ama, senza mezze misure. Questo perchè i suoi lavori sono sempre molto particolari e non sempre fruibili a tutti tra trame intricate, ipersessualità dei propri personaggi e ambientazioni allucinate, con particolari filosofie di fondo che spesso sono il deus ex machina delle vicende narrate.
Personalmente ho un rapporto altalenante con Suda 51: ho apprezzato suoi lavori come No More Heroes e Lollipop Chainsaw, perfino quel Shadow of the Damned che lui stesso non ama particolarmente, mentre non mi sono piaciuti particolarmente Killer 7 e Michigan: Report From Hell.
Ciò non toglie l’importanza per il medium dei suoi lavori, presupposto che ha portato alla riscoperta di The Silver Case 2425. Si tratta infatti di una collection che riunisce per la prima volta tanto il titolo omonimo, quanto il suo sequel The 25th Ward, che per la prima vedono la luce al di fuori del Giappone.
Proprio per questo motivo, nella raccolta non troviamo le edizioni originali dei due titoli, quanto le versioni più recenti a cui Suda ha lavorato per apportare alcuni aggiornamenti, che in definitiva nemmeno si notano più di tanto.
The Silver Case
Nonostante si tratti dei primi lavori come sviluppatore indipendente e fondatore della Grasshopper Manufacture, secondo molti si tratta dei suoi lavori migliori. The Silver Case è uscito originariamente nel paese del Sol Levante nell’ormai lontano 1999 per la prima PlayStation, mentre il suo sequel The 25th Ward, dopo uno sviluppo abbastanza travagliato, vide inizialmente la luce come titolo mobile tra il 2005 e il 2007. Una decina d’anni dopo, nel 2016, in occasione della sua uscita per PlayStation 4, lo sviluppatore decise di farne un vero e proprio remake senza però modificarne lo spirito originale.
In entrambi i casi siamo in presenza di visual novel in cui il gameplay vero e proprio è ridotto all’osso, sostituito da lunghe fasi testuali intervallate da filmati (anche live action) con uno stile che ci riporta all’epoca dei 56k e nel complesso fa molto anni ’90.
Proprio per questa sua natura svelare la trama di The Silver Case è quasi impossibile senza ricorrere a spiacevoli spoiler, motivo per cui mi limiterò ad accennarne in questa sede.
Nel 1999 alternativo e distopico in cui è ambientato The Silver Case esiste una città chiamata 24 Wards, dal numero di distretti che la compongono, che assomiglia a una Tokyo rivisitata in salsa noir cyberpunk. La vita nella metropoli, già non semplice di per sè, era stata sconvolta alcuni anni prima da una serie di efferati omicidi, principalmente ai danni di importanti figure governative, commessa da un serial killer che viene identificato in Kamui Uheara. Grazie alla creazione di una apposita unità, dedicata ai crimini atroci, il serial killer viene catturato e ricoverato in un manicomio criminale, ritenuto inoffensivo.
Passano gli anni, dagli anni ’70 di Uheara passiamo al 1999, e la città viene scossa da una nuova serie di omicidi che fa pensare proprio al Silver Case chiusosi anni prima e getta le basi per la saga Kill the Past di cui il titolo è solo il primo capitolo. Si tratta di un titolo dalle atmosfere noir che tanto deve ai lavori del regista americano David Lynch, da sempre punto di riferimento di Suda, ma che è nato in maniera quasi “casuale”. All’epoca del suo sviluppo infatti, influenzato dalla vicenda di Sakakibara (serial killer all’epoca dei fatti 14enne che uccise alcuni bambini nella prefettura di Kobe) e dall’impatto che questo caso ebbe sulla società giapponese, Suda iniziò a pensare, in maniera quasi accademica e asettica, a come e perchè avviene un delitto. Queste due domande sono alla base di The Silver Case; domande a cui, in definitiva, il gioco non risponde e che diventano punti di partenza per un progetto più ampio. Lo stesso Suda ha più volte dichiarato che i due titoli sono nel complesso ancora più “oscuri” di quanto non fosse sua intenzione, non manca del resto il consueto umorismo che permea i suoi titoli successivi.
The Silver Case è a sua volta suddiviso in due parti: Transmitter e Placebo. Nella prima di queste due sezioni, scritta dallo stesso Suda, nei panni di uno degli agenti delle forze speciali dovremo indagare su questa nuova ondata di omicidi; nello scenario denominato Placebo, invece, il protagonista sarà il giornalista freelance Tokio Morishima che, salvato in extremis prima di essere ucciso da Uheara, decide di aiutare le forze dell’ordine indagando proprio sul serial killer, scoprendone la storia e i motivi che lo hanno spinto ad uccidere.
Entrambe le sezioni sono composte da 6 capitoli ciascuna, per un totale quindi di 12 capitoli complessivi.
Come già detto, il gameplay è ridotto all’osso e non è la parte più riuscita dell’opera: anzi, probabilmente è l’unico frangente del gioco che avrebbe necessitato di un maggiore ammodernamento. Vero è che comunque siamo in presenza di una visual novel e che quindi non c’è grande margine per una libertà di movimento o azione.
Potremo spostarci all’interno delle schermate seguendo i punti cardinali e guardare in alto o in basso alla ricerca di indizi oppure interagire con gli altri personaggi o con l’ambiente circostante. Il tutto risulta inizialmente un po’ macchinoso, ma la curva di apprendimento è abbastanza piana e riusciremo a prendere confidenza con i comandi in breve.
25th Wards: The Silver Case
Il sequel del gioco originale è ambientato 5 anni dopo gli eventi narrati in The Silver Case. Con questo titolo, nato per piattaforme mobili, Suda volle tornare sulla storia del primo capitolo, arricchendolo di approfondimenti e concludendone le vicende.
Il 25esimo Ward è il nuovo distretto aggiunto alla città, in cui vengono ambientate le vicende che compongono i 3 scenari in cui è diviso il gioco. In 15 livelli si snodano Correctness, Matchmaker e nuovamente Placebo. Nel primo scenario seguiremo i detective Shiroyabu e Kuroyanagi alle prese con nuovi violenti omicidi, in Matchmaker impareremo a conoscere il sottobosco criminale del 25esimo Ward mentre in Placebo ritroviamo Tokio Morishima che stavolta indaga sugli eventi che si stanno verificando in questa parte della città; il tutto mentre Kamui Uehara ricompare sulla scena, finendo per unire i 3 filoni narrativi e le rispettive vicende.
Il gameplay di questo seguito richiama in maniera abbastanza fedele quello del predecessore, pur tradendo le sue origini per mobile: a nostra disposizione, sotto forma di prisma, un ventaglio di opzioni che comprende guardare, muoversi, parlare e interagire. Nulla di eccezionale, ma come per il capitolo precedente, il gameplay è in secondo piano rispetto alla narrazione.