Studiando un saggio letterario mi capitò di trovare un concetto molto interessante: venivano messi a confronto libri e videogiochi e si ipotizzava che, per assurdo, la narrativa si fosse sviluppata prima tramite i videogiochi che tramite romanzi e libri in generale. Di sicuro si sarebbe preferito continuare a raccontare storie tramite il medium videoludico e non tramite la narrativa tradizionale come la conosciamo oggi, dal momento che il libro sarebbe sembrato un mezzo obsoleto, risultando meno coinvolgente rispetto al videogioco.
Per me è inevitabile ripensare a questo concetto quando mi imbatto in titoli come The Suicide of Rachel Foster. Si tratta di un titolo concettualmente molto simile a un punta e clicca, ma la totale assenza di enigmi ambientali e puzzle generici lo avvicinano anche a un walking simulator. Solitamente titoli di questo genere decidono di abbandonare quasi completamente la componente di gameplay, riducendola all’osso, per puntare tutto su storie che riescano a coinvolgere il videogiocatore e siano anche l’occasione per far riflettere su argomenti molto delicati.
The Suicide of Rachel Foster raccoglie l’eredità di titoli analoghi come The Vanishing of Ethan Carter o What Remains of Edith Finch, ma, grazie ad alcuni piccoli accorgimenti, riesce a regalare al giocatore un’esperienza più cinematografica rispetto ai “colleghi” precedentemente citati, scoprendo però (purtroppo) il fianco ad alcune ingenuità tecniche che vanno a inficiare sull’immersività in generale.
Che fine ha fatto Rachel Foster?
Nel titolo vestiremo i panni di Nicole, che dopo anni si ritrova a tornare nell’hotel gestito dalla sua famiglia in cui ha passato l’infanzia. Il luogo però è casa di ricordi terribili per la donna, infatti ci viene subito raccontata la terribile storia che lega la famiglia di Nicole ai Foster: Leonard, il padre di Nicole aveva una relazione con Rachel Foster, la giovane figlia del reverendo Foster.
Quest’evento ha portato anni prima alla separazione dei genitori di Nicole e non solo, la scoperta della relazione ha anche portato la giovane Rachel al suicidio. La morte di Leonard ha riportato Nicole nel vecchio hotel di famiglia col solo scopo di vendere la proprietà, ma una bufera di neve la terrà bloccata più del previsto, l’unico contatto con l’esterno sarà ben presto Irving, che guiderà Nicole nella scoperta di luoghi a lungo dimenticati e, pian piano, di qualcosa di ben più oscuro.
Sembra infatti che la morte di Rachel abbia avuto ben più risonanza nel piccolo paesino di montagna di quanto Nicole si aspettasse, anzi, la storia è ancora ben vivida nei ricordi e c’è chi non vuole che venga dimenticata. Ben presto però la solitudine e l’isolamento lasceranno spazio all’inquietudine e alla tensione. L’intreccio narrativo resta sempre abbastanza semplice, ma efficace, le premesse fornite nelle prime battute della storia si sivluppano a dovere portando però a risultati che non si possono definire realmente sorprendenti, in quanto abbastanza scontati, ma non per questo deludenti.
Stando ben attenti si potranno poi cogliere delle citazioni davvero piacevoli, un vero e proprio valore aggiunto per un titolo del genere. Anzitutto, l’hotel e la bufera di neve che tiene Nicole bloccata in questa situazione sono un palese riferimento a Shining, romanzo di Stephen King poi trasposto da Stanley Kubrick in versione cinematografica, anche la sequenza introduttiva è un omaggio alla pellicola, e nasconde anche un riferimento alla serie Silent Hill, nel cui ritorno continuiamo sempre a sperare, specialmente al primo capitolo.
Hotel da incubo – Istruzioni per l’uso
Come già ribadito in apertura, il gameplay in questo titolo è ridotto all’osso, consiste infatti soltanto nel percorrere i corridoi dell’hotel e indagare sul mistero che si cela in quelle cupe stanze, l’esplorazione sarà quasi sempre guidata, e nel momento in cui non avremo indicazioni ciò che dovremo fare sarà comunque molto intuitivo. A donare un po’ di varietà al gameplay però ci sarà la possibilità di utilizzare alcuni oggetti trovati nel corso dell’esplorazione, si tratta di variazioni minime che rendono però l’intera esperienza più immersiva.
Purtroppo però ci sono alcune ingenuità nel gameplay che vanno a limitare l’esperienza. Per prima cosa la linearità della narrazione è estrema e di suo non è un difetto, ma una precisa scelta, però è davvero strano e anancronistico vedere nel 2020, dopo il boom di titoli come Detroit Become Human o Man of Medan, un titolo narrativo che non presenti bivi e scelte che vadano a mettere alla prova la moralità o l’empatia del giocatore, decisamente una mancanza non da poco.
Un secondo punto a sfavore sta nell’interazione con l’ambiente, molto più scarna di quanto dovrebbe. A inizio gioco viene detto di esaminare con attenzione l’ambiente circostante, così da comprendere al meglio il contesto e avere un’idea chiara della storia. Fin da subito ci ritroviamo in delle stanze piene di documenti e libri esaminabili, a parte la mancata localizzazione dei testi dei documenti (basta infatti una minima conoscenza dell’inglese), alcuni testi su libri e giornali saranno davvero troppo piccoli da decifrare e manca una casella di testo apposita per poterne leggere il contenuto. Di sicuro questo non cambia la qualità del gameplay, ma è strano ritrovarsi davanti a elementi che potrebbero aggiungere tasselli importanti alla storia che invece si rivelano essere solo di contorno.
Un ultimo elemento che mi ha fatto storcere il naso riguarda la scarsità di aree esplorabili. Ci troviamo in un hotel che conta, oltre al piano terra, due piani e una cantina completamente esplorabili, eppure i luoghi chiave per la storia si rivelano essere solo tre o quattro. La stragrande maggioranza delle porte resterà costantemente chiusa, andando a intensificare il senso di linearità dell’esperienza e riducendo anche il senso di esplorazione.
Questa scelta va probabilmente ricondotta alla durata del titolo, di tre ore circa, che non richiede l’esplorazione dell’intera struttura, ma sarebbe stato meglio a questo punto diversificare alcune soluzioni narrative invece di riportare la protagonista più e più volte nelle stesse stanze o ancora, lasciare esplorabili dei luoghi non collegati direttamente alla narrazione, così da tentare di sviare un minimo il giocatore che potrebbe così lasciarsi andare a teorie o dare una propria interpretazione di alcuni eventi di contorno.
“A te il comparto tecnico piace, Doc?”
Nonostante i difetti, che non ho comunque avvertito come troppo fastidiosi, ciò che mi ha davvero fatto apprezzare il titolo è stato il comparto tecnico, molto al di sopra delle mie aspettative per un titolo del genere. E mi sento di fare davvero i complimenti a One O One Games, software house tutta italiana che con questo titolo è riuscita ad attirare l’attenzione sulla qualità del mercato videoludico italiano, in questi ultimi anni fortemente in ascesa.
C’è da dire che la staticità del gameplay aiuta molto nella realizzazione di un comparto tecnico degno di nota, se le interazioni con l’ambiente sono ridotte ci si può concentrare molto di più sulla grafica, che risulta molto più “statica” rispetto ad altri titoli. Ma non è stata tanto la qualità grafica in sé a colpirmi quanto l’illuminazione: le luci che filtrano dalle finestre e i riflessi su oggetti in plastica o vetro sono davvero unici, una piccolezza per molti, ma a livello tecnico mi hanno davvero lasciato a bocca aperta, sono questi i dettagli che fanno la differenza in titoli del genere.
A rendere ancora più piacevole il comparto grafico ci sono alcune chicche registiche. La quasi totalità dei titoli di questo genere può contare su una camera fissa con una costante soggettiva in prima persona, di tanto in tanto però, l’inquadratura si sposta su particolari dettagli, soprattutto sulle mani della protagonista quando compie determinate azioni, anche in questo caso si tratta di una piccolezza, ma che comunque si rivela essere un’unicità di questo titolo. Gli amanti del già citato Shining poi troveranno una piacevole sorpresa nel corso del gioco per quanto riguarda la transizione tra i vari giorni che scandiscono gli eventi del gioco.
A farla da padrone però è senza dubbio il comparto sonoro: decisamente senza pari. Prima di iniziare, un’apposita icona indica che è fortemente consigliato vivere l’esperienza muniti di cuffie e, in effetti, senza si avrebbe l’impressione di giocare un prodotto fortemente castrato e privo della tensione che era nelle intenzioni degli sviluppatori. L’hotel sarà completamente vuoto, e ogni minimo rumore, piazzato alla perfezione, farà crescere ansia e tensione passo dopo passo, al pari (e in certi frangenti anche di più) delle pellicole horror più rinomate o di titoli del calibro di Amnesia: The Dark Descent.
In conclusione, The Suicide of Rachel Foster è un titolo concettualmente più vicino a un film o un romanzo, ma che saprà comunque regalare qualche ora piena di tensione grazie a una narrazione lineare, ma azzeccata, a delle citazioni davvero piacevoli per i fan del genere e a un comparto tecnico che supera nettamente le aspettative. Consigliato, ma non a chi cerca azione, piuttosto si rivela essere il titolo giusto per chi fosse alla ricerca di una storia tesa e qualche brivido lungo la schiena.