Siamo davvero troppo vecchi per dedicarci ai videogiochi come afferma il quotidiano britannico The Telegraph?
Come già trattato in questo nostro articolo il quotidiano in questione non perde occasione per scagliarsi contro i videogame ancora una volta dopo averli definiti come una droga e ciò mi spinge ad esporre in prima persona la mia opinione a riguardo.
Rappresento uno di quegli “uomini adulti” a cui il quotidiano consiglia di “non perdere tempo dietro ai videogiochi” e diciamo che un po’ la cosa mi fa sorridere essendo nato nel 1977 e avendo vissuto in pratica quasi tutto il decorso stesso dei videogiochi.
Dalla loro prima creazione, pixel grandi quanto uno smartphone dell’era attuale di pochissimi colori che si muovevano su una televisione a tubo catodico, il più delle volte in bianco e nero, fino ad arrivare a capolavori grafici come The Last Of Us 2 o Hellblade: Senua’s Sacrifice.
I tempi in cui avevo quattro anni e mio padre entrò in casa con un Philips Videopac G7000 che la maggior parte di quei “giornalisti” non avrà neanche mai visto prendendosi il lusso di parlare di “videogiochi” come se fossero esperti del settore.
Ho passato gran parte del mio tempo a videogiocare proprio con mio padre, che non solo aveva un rispettabile lavoro (come tanti adulti videogiocatori) ma lui stesso proprio attraverso i videogame e l’hardware in questione mi ha insegnato il funzionamento dei controller o delle console (persino a smontarle o ripararle).
Quello che per il The Telegraph è considerato uno “spreco di tempo” è stato invece per me e per molti altri l’inizio di una passione che poi è diventata un lavoro e che ad alcuni permette di portare un piatto di pasta su una tavola, quindi la mia domanda nasce spontanea.
E’ DAVVERO IL CASO DI SCAGLIARSI CONTRO I “VIDEOGIOCATORI ADULTI”?
Tralasciando questioni importanti come tutta una serie di conseguenze sullo sviluppo della tecnologia in gran parte dovuta proprio all’evolversi delle piattaforme da videogiocatori, basti pensare a quanti onesti lavoratori adulti ci sono dietro ad un videogioco o ad una piattaforma destinata ai videogame, focalizziamoci su un discorso.
Molti “videogiocatori adulti” sono nel tempo diventati famosi youtuber o streamer che guadagnano palate di denaro alcuni affermandosi negli e-sports che nel corso degli anni sono diventati sempre più seguiti e sponsorizzati da famosi marchi commerciali.
Persino i piloti di Formula 1 spesso si “allenano” davanti a costose attrezzature videoludiche atte a simulare quella che sarà la loro gara in pista, quindi secondo il quotidiano britannico il loro è semplicemente “una perdita di tempo”?
Il progresso videoludico di determinati software o videogiochi sono stati anche fonte di ispirazione per la creazione di macchinari per uso medico e viceversa, la riflessione vien da se, probabilmente avremo avuto un progresso tecnologico molto più lento se di pari passo non ci fosse stato un progresso in ambito videoludico.
Videogiochi come per il citato Hellblade: Senua’s Sacrifice che punta i riflettori su alcune forme di psicosi affrontando il tema con gli occhi di una protagonista emarginata dal proprio popolo oppure titoli come Sea Of Solitude incentrato ad essere più un’esperienza dai tratti psicologici che un videogioco per bambini, titoli che hanno portato alla luce fenomeni fino ad allora presi un po’ alla leggera come psicosi, solitudine, depressione o altre problematiche a livello sociale.
Persino l’industria del cinema, attualmente volgendo lo sguardo a Netflix, sta pescando a piene mani da quello che è il mondo dei videogiochi portando sul grande schermo avventure come quelle di Geralt di Rivia (The Witcher) o di Trevor Belmont (Castlevania).
IN CONCLUSIONE, I VIDEOGIOCHI FANNO BENE AL MONDO?
Come in ogni cosa “il troppo stroppia”, se da un lato ci sono studi che affermano che videogiocare possa sviluppare le qualità cognitive e i riflessi delle persone dall’altra si afferma che possa portare a problematiche sociali e comportamentali degli individui.
Io sono cresciuto giocando antecedentemente alle varie classificazioni PEGI a titoli come Friday The 13th sul Commodore 64 che mi faceva una paura matta eppure questo non mi ha portato danni neurologici o comportamentali di alcun genere, faccio forse parte di un piccolo gruppo di elite con superpoteri?
Videogiocare il giusto, per il giusto lasso di tempo e con la giusta mentalità (magari seguiti da un genitore o con amici) non può arrecare chissà quale grave danno ma sviluppare la mente di chi siede di fronte allo schermo, spesso ritrovando in alcuni videogiochi (come quelli già citati) tematiche davvero importanti nel mondo attuale come quelle affrontate anche da titoli come Tell Me Why.
Non per ultimo non va dimenticato che molto spesso il videogiocare online permette ad alcune categorie di persone di creare vere e proprie amicizie online che possono aiutarle ad affrontare al meglio le giornate buie.
Questa quantomeno è la mia opinione a riguardo, giusta o sbagliata che sia penso che i videogiochi non siano “il male assoluto” ma un mezzo che se ben usato e con le giuste dosi può diventare più un “valore aggiunto nella società” che un “artefatto del demonio”.
Non resta che attendere la prossima sparata del quotidiano britannico The Telegraph a riguardo, che già di per se si è attirato le antipatie di molti.