La moda ormai inevitabile dei titoli indie è quella di fare leva sulla nostalgia dei giocatori – intesi come comunità più che come singoli individui – puntando su generi e tecnologie che ormai fanno parte del passato. Talvolta può essere una scelta ispirata, proponendo il meglio di un’era attraverso lenti nostalgiche (Shovel Knight, Yooka-Laylee) o mostrandola con crudo realismo (Sydney Hunter, La-Mulana).
E poi capitano gli esempi in cui ci troviamo di fronte a un bieco pretesto. Nel caso di Haunted Halloween ’86, abbiamo chiuso – volentieri – un occhio perché nel puntare su un appeal “facile” gli sviluppatori riuscirono a creare un prodotto comunque fedele all’era di riferimento, nello specifico un autentico gioco per NES. Stavolta, però, farlo ci viene più difficile.
Per la tendenza di Thief Town a non spiegare nulla – nulla – saremmo tentati di riassumere la nostra recensione in una sola frase. Visto però che il metaumorismo (nonostante la sagace ironia della situazione) ci priverebbe di ogni parvenza di professionalità, preferiremmo sviscerare la questione con un pizzico di attenzione in più. Quanto basta da durare più di una sessione di gioco, in ogni caso.
Abili Tatticamente A Rubare Idee
Non possiamo nemmeno parlare di trama perché abbiamo a che vedere con un party game. Possiamo solo supporre che la premessa consista nella facilità con cui si poteva morire nel west, come esemplificato dal sermone di Seth MacFarlane nella sua pellicola Un Milione di Modi di Morire nel West. Potremmo cercare di offrire un po’ di contesto riportando uno stralcio della descrizione eShop di Thief Town.
“Fino a quattro giocatori comandano avatar identici (i “Thieves”, ovvero i “ladri”) in un’arena a schermo singolo (la “Town”, la “città”), popolata da altri PNG identici. Ogni giocatore deve scoprire quali PNG sono segretamente altri giocatori e pugnalarli per ottenere punti, prima di venire scoperto e accoltellato a sua volta!”
Non sappiamo se abbreviare “personaggi” con “PNG” sia una battuta sul formato PNG delle immagini che si è scritta da sola, ma il fatto che l’approccio minimalista del gioco viene evidenziato anche sulla descrizione ufficiale dell’eShop non è per nulla incoraggiante. Abbandoniamo ogni preconcetto (e “ogni speranza, o noi che entriamo”) e tuffiamoci in quest’atmosfera da Atari 2600.
“Beat it And Eat It”
Lo stesso eShop ci informa del gameplay del gioco prima ancora che possiamo aprire bocca noi. Abbiamo a che fare con battaglie competitive per un numero di giocatori da due a quattro, e la sola costante è l’aspetto identico tra i giocatori stessi nella maggior parte delle modalità. Oltre al pugnale con cui possiamo condannare a morte certa gli altri giocatori, avremo a disposizione armi da fuoco, bombe ed altre amenità.
Abbiamo modo di venire a conoscenza con il gioco non appena ci lasciamo alle spalle la schermata del titolo. Qui veniamo a patti con il primo problema di Thief Town: è letteralmente per un numero di giocatori da due a quattro – il gioco non si può giocare in single player. Naturalmente, con i Joy-con ogni possessore di Nintendo Switch è munito automaticamente di due controller, ma non è detto che un cliente ignaro sia anche munito di amico con cui giocare.
Il fatto che il gioco sia solo in inglese, poi, non è nemmeno il problema peggiore; il più grande difetto di Thief Town è la convinzione di non doverci alcuna spiegazione. Chiariamoci – non è l’era videoludica moderna ad averci assuefatti al tipico tutorial che ci imbocca ogni singola nozione necessaria, ma è questo titolo in particolare che sembra volerci disorientare di proposito.
Mettiamola così: il primo Super Mario Bros. per NES, nell’ormai iconico livello 1-1, ci metteva di fronte a un baratro “fasullo” tra due scalinate prima di ostacolarci con quello vero. Persino in titoli che fanno del minimalismo esplicativo la loro ragion d’essere come WarioWare abbiamo un verbo all’imperativo con il quale capire cosa fare nei prossimi cinque secondi. Non con Thief Town.
Subito dopo aver effettuato l’accesso con entrambi i controller (guai ai giocatori singoli!), ci viene proposto di “pugnalare” i pulsanti per inserire il nostro nome. Chiunque a questo punto si aspetterebbe che venga aperto il tastierino virtuale di Nintendo Switch. Non ci crederai: come caratteri, dovrai mettere i tasti frontali del controller. Tra BAXA, YAYA e XYAB, gli estremi per querelare l’ufficio anagrafe non mancano di certo.
Il menù principale appare sotto forma di saloon. Dovrai infilzare i presenti per interagire con le varie voci che ciascuno di loro rappresenta, ma per poterlo capire dovrai avvicinarti ai personaggi in questione. In fase di recensione, però, ce ne siamo accorti solo dopo essere usciti dalla porta; il nostro errore ci ha gettati in una sessione di gioco con le impostazioni di default, portandoci a provare le modalità di gioco tutte insieme.
I tre tipi di match sono Thief Town, Spy Town e Drunk Town. Nella prima dobbiamo semplicemente capire “chi siamo”, identificare l’avversario e pugnalarlo per primi; in Spy Town dobbiamo tendere delle trappole ai ladri nemici con gli oggetti monouso che riceveremo; infine, Drunk Town è un multiplayer asimmetrico dove un giocatore selezionato a caso – nei panni di un improbabile sceriffo – dovrà sparare ai cowboy che hanno alzato il gomito.
A concludere i match provvedono gli Showdown: dei duelli in cui, per nostra fortuna, non ci sono altri ladri fasulli. Per nostra sfortuna, d’altro canto, tutti i giocatori diventano invisibili sporadicamente. Una volta conclusa l’ultima manche, per così dire, il gioco tira le somme con una schermata dei risultati definitiva. Considerala una variante dello scontro decisivo di Super Smash Bros. Ultimate, magari senza illuderti di star giocando al magnum opus di Masahiro Sakurai.
In seguito a questa delirante sessione di gioco vissuta senza riuscire a capire alcunché (abbiamo fatto due più due solo in seguito), abbiamo esaminato con più calma il saloon e tutto è improvvisamente diventato più chiaro: infilzando i vari tizi, compreso l’usciere che determina il tipo di minigioco in cui ci si può cimentare, è possibile personalizzare almeno un po’ l’esperienza di gioco. Non è proprio il deus ex machina che salva Thief Town in calcio d’angolo, ma almeno abbiamo abbastanza elementi per tirare le somme.
“Allora, redattore, che obbrobrio recensisci? Esprimiti!”
A livello di grafica, non c’è molto da dire: l’ispirazione più palese è quella dell’Atari 2600. Il buon senso imporrebbe di puntare al NES, o quantomeno al Commodore 64; invece ci troviamo ad omaggiare il dubbio senso artistico di una console meglio nota per aver ospitato la peggior versione di Pac-Man ad aver “graziato” il genere umano. Sono la prima persona a difendere a spada tratta un motore grafico più modesto, ma purtroppo questa scelta stilistica è emblematica del pretenzioso narcisismo con cui il gioco cerca di giustificare il suo modo grossolano di porsi al giocatore. L’ibrido tra proiettore e grafica a 8-bit però è interessante.
Sulla musica, quantomeno, raggiungiamo la sufficienza. Il gioco ci tiene a farci sapere che ABSRDST (pseudonimo di Jack Vanoudenaren, nel caso) è la mente dietro la colonna sonora, ma il risultato finale è senza infamia e senza lode. Yuzo Koshiro, creatore della colonna sonora di Streets of Rage, compariva nella schermata del titolo per un motivo ben preciso; ABSRDST è un compositore freelance che sa il fatto suo, ma che qui ha semplicemente dato vita a melodie vagamente orecchiabili.
La longevità, a meno che tu sia provvisto di giocatori con cui divertirti e abbia comprato Thief Town come primo acquisto da Nintendo eShop per ottemperare alle tue necessità di multiplayer, è praticamente inesistente. Anche Baron: Fur is Gonna Fly vive perlopiù di multiplayer, ma nel caso di quest’ultimo si trattava di un titolo curato e pregno di una personalità ben distinta. Qui, invece, l’appeal del connubio “vecchio west – vecchia grafica” non impiega molto a generare i primi sbadigli. Naturalmente, le risate dovute al non capire nulla di quanto sta accadendo non mancano durante la prima sessione, ma dalla seconda in poi la perplessità regna sovrana.
Il gameplay ha anche i suoi punti di forza, ma non li sfrutta appieno – uno studente che “non si applica”, in pratica. Ed è questo, come è stato il caso di Gun Gun Pixies mesi fa, a lasciare davvero l’amaro in bocca. Con un pizzico di impegno in più, Thief Town non solo sarebbe riuscito a giustificare il suo prezzo di sette euro e mezzo, ma sarebbe anche stato un titolo godibile, esilarante, praticamente un must nella libreria multiplayer di ogni possessore di Nintendo Switch. Allo stato attuale delle cose, però… l’attesa di uno sconto è di rigore. E anche in tempo di saldi, non aspettarti che passi molto tempo dal primo avvio prima di dire “va bene, passiamo a Flip Wars?”.