Quando, ormai 28 anni fa (un’eternità per il mondo dei videogiochi) uscì il primo Tomb Raider e il mondo incontrò per la prima volta Lara Croft, ci volle pochissimo per capire che si stava facendo la storia del medium e che la sua protagonista sarebbe stata consegnata a quella fama immortale destinata a pochissimi personaggi dei videogiochi.
Non era la prima volta che una donna vestiva i panni della protagonista, c’erano già state Ms.Pacman o Samus in Metroid; tuttavia Lara era qualcosa di totalmente inedito: forte, carismatica e in grado di rivaleggiare con i personaggi maschili più tosti. In poco Ms. Croft divenne un’icona in grado di andare oltre il mondo dei videogiochi: numerose modelle vennero man mano selezionate per diventare la Lara ufficiale in carne ed ossa, vennero prodotte action figure e merchandising di tutti i tipi, serie a fumetti e 3 lungometraggi cinematografici più una serie che dovrebbe arrivare su Netflix entro la fine dell’anno.
Tuttavia, neppure la stessa protagonista è rimasta la stessa in tutti questi anni; sia graficamente che come personaggio.
Infatti, oltre ovviamente alle inevitabili evoluzioni dettate da una grafica via via sempre più complessa esistono due Lara (e mezza): la prima, donna ironica e distaccata protagonista dei primi 6 titoli della serie e la sua versione più giovane, insicura ma determinata, protagonista della trilogia reboot. In mezzo una versione 2.0 della Lara originale, protagonista dei primi capitoli sviluppati da Crystal Dynamics ovvero Legend e Anniversary.
I tre capitoli iniziali sono tuttavia quelli ancora oggi ricordati con più affetto e che hanno dato vita ad una serie popolarissima; niente di strano dunque che, a quasi 30 anni da Tomb Raider, Aspyr si sia messa all’opera per riproporceli in una versione riveduta e corretta, più adatta ai tempi moderni.
Un grande ritorno (?) di Tomb Raider
Considerato che parliamo di una remastered e non di un remake, tralascerei la parte relativa alla trama dei tre capitoli, arcinoti e che vedranno Lara cercare antichi manufatti ai quattro angoli del globo tra località più familiari come Londra, l’Area 51, Venezia o la Grecia e setting esotici come il Perù, l’Egitto e via discorrendo.
Tutto quello che troviamo nei tre giochi è esattamente uguale a come la ricordavamo, del resto Aspyr (azienda specializzata in porting) ha lavorato sui codici sorgenti originali, per cui le solide fondamenta son quelle che conosciamo.
Infatti, per certi versi, il primo impatto con questa versione potrebbe spaesarci: in luogo della classica presentazione moderna che ci accompagna ai titoli contenuti e ci consente anche di gestire eventuali impostazioni, troviamo le schermate iniziali dei titoli originali, una dopo l’altra così da avviare il gioco che preferiamo. Va segnalato come all’interno di Tomb Raider II troviamo anche la mini avventura The Gold Mask, rilasciata come espansione aggiuntiva nel 1999.
La nostra avventura non può che iniziare ancora una volta dalla Magione Croft, da sempre punto di partenza per un po’ di sano cazzeggio e per prendere confidenza con il gameplay del gioco.
In questo caso forse diventa ancora più importante che in passato, perchè ci da il benvenuto in un prodotto comunque nuovo; come per il menu iniziale devo confessare che il primo impatto è di leggero smarrimento.
Avviando la partita viene istintivo dire “beh, tutto qua?”: onestamente per quanto non mi aspettassi qualcosa di lontanamente paragonabile ai remake che Capcom ha fatto per Resident Evil, reimmaginando i giochi da zero, sicuramente pensavo mi sarei trovato davanti qualcosa di nettamente moderno quantomeno dal punto di vista grafico. Non nascondo come una Lara in versione a metà tra Angel of Darkness e Legend, quindi visivamente a metà tra l’epoca PlayStation 2 e quella PlayStation 3/Xbox 360 con in più i “cari” comandi tank mi ha un po’ sconfortato.
Quantomeno al secondo problema la soluzione è abbastanza semplice dal momento che basta entrare nel menu e selezionare i comandi moderni; per quanto riguarda la scelta grafica è sicuramente una decisione particolare e c’è poco da fare.
Tuttavia, un po’ per rendere omaggio al passato e un po’ forse anche per far capire quanto i giochi si siano evoluti e come un certo lavoro sia stato fatto, Aspyr ha inserito la possibilità di passare in qualsiasi momento dal motore di gioco originario a quello del remake.
Come in casi simili, anche qui è un elemento interessante per toccare con mano come la grafica da un lato abbia fatto notevoli passi avanti, come è ovvio che sia in quasi 30 anni, ma ci mostra anche come il lavoro fatto da Core ai tempi dell’uscita originale fosse veramente egregio.
Infatti, in questa versione remastered, come suggerisce giustamente l’appellativo, le strutture di base dei giochi sono sempre le stesse, con Aspyr che si è “limitata” a pulirne e potenziarne i pixel dettagliandoli più possibile e sostituendoli in quei (pochi) casi in cui le immagini originali erano molto piccole o scarsamente dettagliate; un esempio su tutti, i quadri di casa Croft oppure dove erano presenti oggetti bidimensionali (come il vasellame nelle tombe ecc) sono stati sostituiti con delle versioni in 3D pieno.
A saltare all’occhio in maniera decisa è l’implementazione di un sistema di illuminazione moderno, totalmente assente nel gioco originale; tuttavia, va detto come spesso saremo costretti a tornare al vecchio motore grafico per vedere meglio il percorso che ci attende o per esaminare la zona in cui ci troviamo. Ancora una volta, una dimostrazione dell’ottimo lavoro fatto negli anni ’90 e conferma di un lavoro sicuramente migliorabile in questa versione.
Potremo fare questo cambio di motore grafico in tutto il gioco, compresi menu e cutscene (non tutte); in quest’ultimo caso il risultato è francamente deludente dal momento che ci si è limitati a ripulire l’effetto pixelloso, specie nelle inquadrature più lontane, e quello che vediamo nelle sequenze è totalmente diverso dal gioco, da Lara all’ambiente circostante.
Un altro importante (e soprattutto utile) lavoro è stato fatto per affiancare ai comandi classici, denominati tank perchè ricordano il movimento di un carro armato e della sua torretta in qualcosa di più moderno. I comandi sono sostanzialmente mutuati da quelli dei capitoli dei primi anni 2000, un po’ più sbilanciati verso Angel of Darkness che non verso Legends. Questo sistema è sicuramente più familiare ai giocatori più giovani e risulterà indubbiamente comodo, tuttavia non sempre è adatto al level design della trilogia originale.
Infatti paghiamo una maggiore libertà di movimento con una minore precisione dei salti e una maggiore difficoltà (o impossibilità) nell’eseguire movimenti come i salti diagonali, laterali o all’indietro che spesso ci tornano utili; non si può tuttavia dire con certezza che una tipologia di comandi sia migliore dell’altra, entrambe hanno pregi e difetti e passare dall’una all’altra è semplice ed immediato.
Un ulteriore tocco di modernità è dato dalla revisione del sistema di salvataggi: i più “diversamente giovani” tra di noi che, come me, hanno giocato i titoli all’epoca della loro uscita ricorderanno l’affannosa ricerca del cristallo blu che ci consentiva di mettere al sicuro la strada fatta. Bene, oggi non serve più, dal momento che nel menu di pausa potremo salvare e caricare liberamente i nostri progressi.
Tuttavia, ormai lo avrai capito, il lavoro di Aspyr è fatto da bastone e carota, sia il salvataggio che il caricamento sono all’interno dello stesso sottomenu, per cui è facilissimo confondersi e caricare la partita anziché salvarla.
Infine, per quanto riguarda il sonoro è stato compiuto un attento lavoro di recupero delle tracce audio originali che sono state rimasterizzate e ripulite; l’italiano, come negli originali, è presente solo per il secondo e terzo capitolo, mentre il primo è semplicemente sottotitolato nella nostra lingua.