Sviluppato e pubblicato da Lillymo Games, Tri Breaker: A Sacred Symbols Odyssey è un viaggio allucinante e intergalattico che parte da un gameplay “rompi-mattoni” per poi deviare la formula continuamente, offrendo un’esperienza veloce, appagante e impegnativa. Noi abbiamo affrontato l’importantissima missione spaziale su PlayStation 5 e questa è la nostra recensione. Pronto a partire insieme a noi?
Tri Breaker: A Sacred Symbols Odyssey una storia strappasorrisi
Per chi non lo sapesse, Tri Breaker: A Sacred Symbols Odyssey è il sequel diretto di Twin Breaker: A Sacred Symbols Adventure ed entrambi sono collocabili nel genere di videogiochi rompicapo, per l’esattezza in quelli italianamente definiti come “rompi-mattoni”. Banalmente, per tradurre in gameplay tale definizione, si muove uno o più piattaforme orizzontali su cui si fa rimbalzare una palla che deve poi colpire una serie di mattoncini. L’evoluzione del pong in chiave single player.
Ecco, un titolo del genere poteva mai avere una narrazione con tanto di campagna che oscilla fra le 3 e le 4 ore e disciolta in ben 40 sfide? Ebbene, la risposta è: sì. E si tratta anche di una storia in grado di divertire e persino far riflettere. Inutile dire che è un titolo che non si prende mai troppo sul serio nonostante l’inserimento di tematiche politiche e riguardanti sia la fantascienza in generale che prodotti cinematografici e videoludici.
Nel dettaglio, i due precedenti eroi del prequel, Colin e Chris, si stanno godendo una sorta di pensione dopo anni dalle vicende di Twin Breaker quando vengono raggiunti da un tale di nome Dustin, funzionario governativo e viaggiatore spaziale. Tale Dustin, riesce a convincere, con non molti sforzi, a far rientrare in azione i due eroi formando così un tris da cui il titolo Tri Breaker. La storia si sviluppa in una serie di dialoghi tra un livello e un altro e quello che colpisce maggiormente è proprio l’umorismo.
Dalle immancabili battute sulla forma fallica della navicella di Dustin fino a citazioni e lievi cenni parodistici di altri titoli e della realtà stessa, Tri Breaker: A Sacred Symbols Odyssey regala un canovaccio surreale, fantascientifico e comico che sorprende per la leggerezza e per una stravagante coerenza personale e che si dimostra funzionale ed efficace. Per chi non fosse interessato alla storia, c’è comunque la possibilità di skipparli (ma sarebbe un peccato).
Non solo un rompi-mattoni
Tri Breaker: A Sacred Symbols Odyssey prende la formula base del prequel e la migliora fino a stravolgerla, rompendo il proprio schema di base e riuscendo a offrire un’esperienza sorprendentemente varia e appagante, nonostante qualche lieve inciampo. Procedendo con ordine, il titolo, come detto più volte, esordisce come classico rompi-mattoni.
Questo ci porta ad avere il comando di due barre orizzontali con cui incassare i rimbalzi della navicella-fallica di Dustin che funge da proiettile con cui colpire i mattoncini. Ogni livello ha uno scopo principale e una missione opzionale secondaria oltre a un accumulo di punteggio legato alle nostre azioni. Inoltre, avremo a disposizione uno o più vite dopo le quali, per evitare il game over e quindi di ripetere il livello, potremo decidere di sacrificare parte del punteggio accumulato (la cui quantità sacrificabile aumenta all’aumentare dei nostri decessi).
Non finisce qui, oltre a governare le due barre orizzontali, avremo anche il comando del proiettile potendolo, tramite i tasti dorsali, indirizzare e roteare durante lo stesso volo. Quindi, riassumendo, dovremo coordinare ben tre elementi su schermo. Inutile dire che tutto ciò richiede pratica e molto allenamento, soprattutto per coordinare le inclinazioni del proiettile, non sempre intuitive. A ciò si aggiunge un caos a schermo spesso indomabile tra elementi da schivare e la velocità stessa del proiettile, con rispettive angolazioni.
L’esperienza di Tri Breaker: A Sacred Symbols Odyssey sorprende già solo su come varia il gameplay stesso da rompi-mattoncini, con power up (non sempre innovativi) e malus di vario genere ma anche con boss fight discretamente impegnative a cui si somma una curva di difficoltà non sempre accessibile a tutti ma che farà la gioia degli appassionati del genere.
La vera chicca ludica la troviamo però nel momento in cui cambiano si le carte in tavola ritrovandoci a vivere interi livelli con uno stile di gioco alla Snake o eseguendo percorsi come una navicella volante in livelli 2D a scorrimento orizzontale. Ci sono persino livelli in cui prenderemo il comando di “cannoni” (che rievocano i barili di Donkey Kong) e in cui dovremo coordinare i vari spari per tutto il livello. E tanto, tanto altro. Il tutto per un’esperienza che sorprende, diverta e regala anche discrete soddisfazioni risultando più impegnativo del previsto.
Grafica e sonoro
Graficamente parlando, Tri Breaker: A Sacred Symbols Odyssey si chiude nella nostalgia retrò con aree in pixel e abbastanza semplici. Certo, non sempre gli elementi a schermo regalano grandi dettagli e molti vengono anche riciclati, ma svolgono il loro ruolo restando fedeli al genere di appartenenza senza osare più di tanto. Il sonoro, invece, offre chicche acustiche di un certo livello, accompagnando l’esperienza videoludica con grande efficacia e nostalgia.
Nota finale, invece, per la mancanza dei sottotitoli in lingua italiana. Normalmente, considerando il genere, non avremmo dato grande importanza a questa assenza ma, considerando la presenza di un buon numero di dialoghi con diverse battute divertenti, è un peccato non poterle godere nella nostra lingua.