Tunnel of Doom è uno di quei titoli che mischia il tipico loop dei roguelike con meccaniche appartenenti ad altri generi, in questo caso i tower defense. Il gioco punta infatti a trasformare le classiche stanze dei dungeon in vere e proprie arene da difendere, a volte anche con piccoli obiettivi da proteggere.
Anche se le premesse sembrano interessanti, questi due generi sono molto difficili da unire e persino giochi come Dungeon of the Endless hanno avuto difficoltà nel farlo. Siamo quindi davanti a un’impresa ardua che, in questo caso, è riuscita solo a metà.
Una storia semplicemente buttata
La storia di Tunnel of Doom narra di una miniera che viene invasa da mostri spaventosi, i quali uccidono i minatori. Data la misteriosa scomparsa degli uomini, il sindaco decide di chiudere il luogo fino all’arrivo dei soccorsi. Una donna, però, prende in mano la situazione e si butta a capofitto nelle buie gallerie della miniera, in modo da salvare più persone possibile durante l’attesa.
Esplorando, però, la protagonista scopre che la miniera è stata invasa da una misteriosa razza senziente, il cui mondo si è unito con il nostro per puro caso. Da questo punto in poi, purtroppo, la trama non viene approfondita più di tanto e il tutto dà una spiacevole sensazione di “spreco”. Dato che Tunnel of Doom presenta una vera e propria modalità storia, e viste le ottime premesse, sarebbe stato lecito aspettarsi qualche sviluppo narrativo più consistente.
Tunnel of Doom: meccaniche difficili da convogliare
Il gameplay di Tunnel of Doom è sicuramente il cavallo di battaglia del titolo. Questo cerca infatti di unire il tipico loop di morti e rinascite con delle meccaniche da tower defense. La generazione procedurale, quindi, ha lo scopo di creare interi dungeon e, in misura ridotta, le singole arene che ospitano la parte da tower defense.
Ogni partita si svolge nello stesso modo: all’ingresso del dungeon si ottiene una mappa che mostra tutto il piano, evidenziando anche i punti d’interesse. Il dungeon è composto da stanze singole che occupano l’intera schermata, staccate tra loro in modo simile a quanto visto con The Binding of Isaac. Muovendosi tra di esse abbiamo la possibilità di trovare oggetti o risorse e, in maniera randomica, di trovarci davanti a delle battaglie, la parte tower defense del titolo.
Entrando in una stanza, infatti, abbiamo una piccola probabilità di far avviare un battle stage. In questo caso, non è possibile uscire dalla stanza stessa fino alla risoluzione dello scontro. Abbiamo quindi una prima fase dove possiamo spostare gli oggetti nello scenario, creare barricate di vari materiali e posizionare torrette, tenendo conto dei punti d’ingresso dei nemici.
Dopo questa prima fase preparatoria, poi, arriveranno le ondate di mostri, che verranno ingaggiate dalle torrette posizionate in precedenza. A questo si aggiunge la nostra presenza sul campo: possiamo infatti utilizzare il piccone come arma a corto raggio, oppure sfruttare le varie risorse come armi improvvisate ed eventuali armi da fuoco.
Proprio le risorse hanno una gestione interessante: queste vengono utilizzate per la creazione di barricate varie, ma fungono anche da munizioni per le torrette stesse e possono persino essere utilizzate come armi improvvisate (per esempio i frammenti di vetro possono essere lanciati come fossero coltelli).
Nonostante sulla carta questo funzioni bene, nella realtà dei fatti ci troviamo davanti a un gameplay che unisce diversi aspetti, senza però riuscire a farne eccellere nessuno. Le stanze, infatti, non riescono a essere delle arene interessanti per la difesa e, in generale, i nemici sciamano negli ambienti senza direzioni ben precise. Per questo motivo, le strategie adottabili per piazzare le torrette si riducono allo sfruttamento dei muri esterni e manca una certa varietà negli scontri stessi.
Questa ripetitività è poi accentuata dalla poca varietà di nemici, i quali si riducono a pochissimi tipi. Se quindi uniamo questo a delle stanze molto simili tra loro e tendenzialmente prive di percorsi interni, ci rendiamo conto di come il risultato finale parta da buone basi, ma finisca con l’essere ripetitivo e poco appagante nel lungo periodo.
Lo stesso utilizzo delle risorse come armi si rivela spesso poco utile, tolti pochi momenti occasionali. Troviamo poi delle idee interessanti, come lo sfruttamento delle fonti di luce per influenzare la direzione dei mostri, ma purtroppo nulla che riesca a risollevare la sensazione generale di eccessiva semplicità.
Anche lo stesso dungeon non riesce a dare un’esplorazione degna di questo nome: le stanze senza battaglie non offrono troppe interazioni e si rivelano spesso dei semplici luoghi di passaggio. Ci sono alcune location dove possiamo trovare risorse, scelte da compiere o negozi, ma ancora una volta non siamo davanti a qualcosa che possa risollevare un gameplay piatto e poco coinvolgente.
Tunnel of Doom, quindi, si rivela una commistione di generi poco riuscita, che in fin dei conti non riesce a portare la stessa profondità vista, per esempio, in Dungeon of the Endless, oppure una rigiocabilità che possa giustificare la generazione procedurale di interi dungeon. Il risultato finale non è tutto da buttare, ma non siamo nemmeno davanti a un titolo da tenere d’occhio.
Artisticamente piacevole
Tunnel of Doom vanta un ottimo comparto tecnico. Sprite, ambientazioni ed effetti sono davvero belli da vedere e le animazioni sono sempre ben fatte. A questo si aggiunge una pixel art decisamente piacevole, che rende il comparto artistico del titolo una gioia per gli amanti di questo stile.
Il comparto sonoro si limita a fare il suo lavoro, con poche tracce musicali, affiancate però da effetti sonori davvero ben fatti, che accompagnano gli scontri e l’esplorazione delle stanze.