Ultra Pixel Survive è un titolo che non nasconde nulla al giocatore: la sua natura è già contenuta nel titolo. Titolo che, essendo un po’ troppo generico, accende un campanello d’allarme al momento di avviare la partita poiché questo giochi di queesto genere tendono a essere un po’ deludenti e poco impegnativi. Nel caso del titolo di Ratalaika e Golden Skull bisogna anche considerare la sua origine di gioco pensato per il mercato degli smartphone, con tutto quello che ne consegue.
Infatti, pur non volendo sminuire una delle piattaforme più diffuse e probabilmente più popolate in assoluto, spesso i giochi mobile sono ancora a livello di scacciapensieri che ci chiedono poco impegno o ci forniscono un’esperienza di gioco minimale, adatta a sessioni mordi e fuggi. È tenendo queste considerazioni a mente che dobbiamo approcciarci a Ultra Pixel Survive.
La vita non è un gioco. È sopravvivenza!
Avviato il gioco, la prima cosa che dovremo fare sarà scegliere il personaggio con cui inizieremo l’avventura. Scelta è in realtà una parola impegnativa, dal momento che, pronti via, abbiamo a disposizione solo un generico avventuriero: si tratta di uno di quei personaggi utili un po’ a tutto ma buoni a nulla, con statistiche nella media. Sì, statistiche, perchè Ultra Pixel Survive è un gioco che si dichiara come un mix tra adventure e GDR, da cui mutua alcune caratteristiche, anche se poi in definitiva si distacca parecchio quantomeno dal secondo genere.
Infatti, pur essendo calati in un mondo apparentemente fantasy (come ci dimostrano gli altri personaggi sbloccabili) non abbiamo alcun background o trama di nessun tipo: siamo lì, ovunque sia questo lì, solo ed esclusivamente per sopravvivere. Niente trama, niente lore, la nostra avventura inizia davanti a una casa (l’unica che vedremo) che funge da rifugio e punto di salvataggio e con un personaggio che ci dà qualche generico consiglio. Da questo momento in poi inizia la nostra “avventura” che ci vedrà impegnati nella sopravvivenza all’interno di un ciclo giorno/notte senza soluzione di continuità.
La mappa è composta da soli 3 ambienti ovvero una foresta, una spiaggia e un dungeon: all’interno di questi tre ecosistemi troviamo tutto quello che ci serve per andare avanti e tutti i pericoli. Diciamo che nel salto da mobile a console, qualche aggiunta in tal senso sarebbe stata gradita, visto che l’esplorazione è così sostanzialmente nulla e appiattisce l’esperienza di gioco.
Gameplay di Ultra Pixel Survive
Come già detto, peraltro facilmente intuibile, il gameplay è abbastanza schematico e ripetitivo fin dalle prime battute. A nostra disposizione abbiamo 3 strumenti con cui affrontare l’ambiente: un piccone, un’accetta da utilizzare al momento opportuno per abbattere gli alberi, estrarre materiali dalle rocce sparse qua e là e poi la spada, utile tanto per tagliare erba e grano quanto per eliminare le minacce presenti insieme a un prezioso boomerang (più potente, ma che richiede cooldown tra un utilizzo e l’altro).
Considerato che parliamo di sopravvivenza, con le risorse raccolte possiamo migliorare le nostre attrezzature oppure creare strumenti difensivi come trappole e mura o un falò che serve sia per recare danno ai nemici che per cuocere la carne che avremo prelevato dagli animali uccisi.
Come detto, la nostra partita si svolge all’interno di un ciclo giornaliero senza interruzioni, per cui nelle ore di luce potremo dedicarci alla raccolta delle risorse, mentre appena cala il buio dovremo farci trovare pronti a difenderci da zombie e mostri vari che arriveranno a frotte per eliminarci.
Purtroppo, diversamente da titoli come Terraria (con cui il gioco non vuole essere paragonato), le difese a nostra disposizione sono statiche per cui avremo il nostro bel da fare ad aggiungere muri su muri, che dureranno giusto qualche rimbalzo.
Inevitabilmente, ma non potrebbe essere diversamente, arriveremo allo scontro che potrebbe portarci alla morte: in questo caso abbiamo due opzioni selezionabili prima di iniziare la partita, ovvero se utilizzare o meno il permadeath. Nel caso in cui la morte permanente venga disattivata ricominceremo dall’inizio, viceversa dall’ultimo salvataggio, da eseguire solo ed esclusivamente all’interno della casa. Casa che, non crearti inutili aspettative, è impossibile utilizzare come rifugio dal momento che al suo interno il tempo cessa di scorrere.
L’unica possibile variante a questo ciclo continuo è data dal cambio di personaggio, che potrà avvenire solo quando avremo raccolto un certo numero di gemme. È l’aspetto più controverso del titolo: da un lato mettere insieme le gemme necessarie non è un processo rapido, dall’altro obbligarci a trascorrere del tempo di gioco con un personaggio che non ci piace è veramente fastidioso; questo è un altro elemento che potrebbe essere accettabile in un titolo mobile, disponibile gratuitamente, meno invece nella controparte console.
I personaggi tra l’altro sono molto vari e pescano tanto dall’immaginario fantasy quanto da quello videoludico: abbiamo il medico della peste, il cavaliere, così come una ragazza slime che sembra uscita da un anime oppure creature furry che non sfigurerebbero in JRPG.
Segnali di stile: grafica e audio
Come intuibile dal titolo, Ultra Pixel Survive ci propone una grafica pixellosa come ormai ne vediamo tante al giorno d’oggi. Nel complesso risulta piacevole nelle ore diurne, con una palette ricca di colori che riesce a ricreare in maniera piacevole i tre ambienti disponibili.
Tanto nel dungeon, quanto quando cala la notte, le cose peggiorano perchè l’eccessivo uso di colori attenuati pasticcia un po’ l’intero ambiente di gioco. La critica principale da fare è nello scarso lavoro compiuto per il porting su console, che si limita a sgrezzare alcuni difetti della versione mobile, senza migliorarne l’aspetto complessivo (rimanendo comunque all’interno della pixel art).
Il comparto sonoro è apprezzabile, con gli effetti dei nostri strumenti ben riprodotto e un accompagnamento musicale parzialmente riuscito; dico parzialmente perchè sono tutte tracce generiche composte da Kevin Macleod per un utilizzo libero, quindi si tratta di musiche ben fatte, ma sentite già altre volte.