Unto the End è un titolo evidentemente pensato per una nicchia di giocatori, che magari cercano una sfida senza paura di mettersi alla prova. In pratica, parliamo di un’esperienza difficile, punitiva e dedicata a chi ha la pazienza di un maestro zen. Quest’ultima caratteristica è vitale per non mollare il titolo dopo i primi due combattimenti. Vediamo perché nella recensione.
Il ritorno a casa
La storia di Unto di End è lasciata totalmente a una narrazione senza parole o dialoghi. Ci sono soltanto pochi filmati brevi sparsi nell’avventura, che però ci dicono davvero poco sul protagonista o sul mondo di gioco. Forse, proprio qui sta il fascino di Unto di End.
Fin dall’inizio, infatti, l’esperienza è caratterizzata da un’atmosfera davvero interessante, tipica di un mondo fantasy fiabesco. Il protagonista è semplicemente un cacciatore che cerca di tornare a casa e, nel farlo, è costretto ad affrontare la natura selvaggia e le creature che la abitano. Da questo incipit visitermo grotte, lande disabitate e altri luoghi inospitali.
Di fatto, è l’esplorazione a farla da padrona, suggerendo al giocatore piccole informazioni sul mondo, che però non vengono mai approfondite in nessun modo.
Unto the End: un viaggio con spada e pugnale (da lancio)
La struttura di Unto di End è semplice ed efficace: siamo di fronte a un adventure in 2D che alterna sezioni platform a combattimenti contro nemici diversi. Le parti platform, però, sono strutturate quasi come degli enigmi, in cui bisogna capire cosa fare per evitare di morire. Inoltre, può capitare di dover cercare degli oggetti, come delle chiavi, per proseguire.
Proprio nelle sezioni platform, si avverte una struttura trial and error molto marcata, che a volte può risultare fastidiosa per via dei checkpoint posizionati in modo fin troppo discutibile. Può capitare di dover fare una serie di salti e di morire per una roccia che cade dal soffitto (che era impossibile da prevedere) per poi dover rifare tutto. Inoltre, molti salti sono davvero millimetrici e anche un solo passo in meno può portare alla morte.
Questo è un difetto non da poco, dato che spesso bisogna rifare intere sezioni platform quando si muore per un singolo salto. Se uniamo trial and error, salti millimetrici e checkpoint punitivi, otteniamo un’esplorazione che richiede al giocatore pazienza e dedizione. Apprezzare o meno il trial and error è questione di gusti, ma i salti da fare al millimetro sono un difetto che si sarebbe potuto evitare con dei precipizi meno “estremi”.
L’attività che svolgiamo maggiormente durante le partite di Unto the End è il combattimento. Questo risulta tecnico e appagante anche se, purtroppo, è minato da alcune magagne. Andiamo con ordine e vediamo come affrontare i nemici che si pareranno davanti a noi.
Ogni scontro si basa sulla lettura degli attacchi nemici e sulla reazione conseguente. Ogni avversario può attaccare in alto o in basso, può fare delle combo e, in pochi casi, delle finte. Allo stesso modo, noi abbiamo attacchi alti e bassi e parate alte e basse. Inoltre, è possibile fare una finta, interrompendo un attacco in corso, per poi iniziarne un altro.
A questo si aggiunge una spallata, la classica capriola e qualche piccola chicca da imparare sul campo. Tutti i comandi descritti sono volutamente lenti e poco fluidi, dando una piacevole sensazione di realismo al tutto: i nostri fendenti sono lenti, dopo la capriola serve del tempo per rialzarsi e le parate non sono immediate se siamo nel mezzo di un attacco.
Ogni battaglia, quindi, ci costringe a leggere gli attacchi nemici, parare di conseguenza, e contrattaccare dal lato opposto: parando in alto, contrattacchiamo in basso e viceversa. Spesso, però, i nemici pareranno a loro volta e quindi starà a noi rispondere con altri fendenti, finte, capriole e parate. Tutto funziona bene e richiede al giocatore attenzione totale e costante.
Non solo. A questo si aggiunge una fisica degli impatti convincente e ben strutturata. Andando a sbattere durante una capriola perdiamo la spada e mettiamo più tempo per rialzarci, per esempio. O ancora, nemici possono colpirsi a vicenda, o lanciando un coltello possiamo essere colpiti dal suo rimbalzo su una superficie dura. In alcuni casi, possiamo persino perdere la spada ed essere costretti a riprenderla da terra.
Nel complesso ogni scontro è tecnico e difficile, ma davvero apprezzabile dai giocatori che cercano un’esperienza di combattimento lontana dal button mashing. Tutto bello quindi? Purtroppo no.
Alcuni combattimenti, purtroppo, sono decisamente sbilanciati: qualche nemico oneshotta il giocatore o ha animazioni poco leggibili e, più in generale, alcuni avversari riescono a parare e anticipare in modo fin troppo efficiente persino le finte o i contrattacchi più veloci. Questo sembra quasi annullare alcune meccaniche di combattimento, creando un senso di frustrazione generale.
Raramente, inoltre, alcune parate non vengono “lette” correttamente, e il nostro personaggio viene colpito anche durante una parata riuscita. Questo, unito all’estrema difficoltà di Unto di End, può portare a momenti di pura rabbia. Il gioco resta comuque godibile da chi cerca una sfida ma con un pizzico di attenzione in più sarebbe potuto essere ancora migliore.
Disperso tra le nevi
Unto the End non è soltanto combattimenti e salti. Nelle varie esplorazioni, infatti, è possibile racc0gliere materiali, necessari per la sopravvivenza. In particolare, possiamo trovare erbe per rallentare l’emorraggia (dopo essere stati colpiti, si sanguina fino a morire), ossa, pelli e legno. A questo si aggiungono altri oggetti extra, spesso necessari in punti specifici.
Raccogliere questi materiali aiuta parecchio nel corso del viaggio, dato che permettono di curarsi, di migliorare l’armatura e di preparare decotti. Sia chiaro, non parliamo di un survival, ma di una piacevole aggiunta che contribuisce ad aumentare il senso di pericolo dato dai combattimenti e dalla situazione generale.
Inoltre, alcuni scontri possono essere evitati proprio grazie agli oggetti. Non tutti i nemici nel mondo di gioco sono ostili e, in casi specifici, è possibile evitare i combattimenti offrendo loro qualcosa che desiderano o di cui hanno bisogno. Infatti, in Unto the End non c’è una componente ruolistica e non è necessario affrontare ogni nemico. In alcuni casi è possibile scappare, proprio per evitare di restare feriti.
Descritto così, tutto questo ha delle grandi potenzialità che, però, non vengono mai sfruttate appieno. Il gioco è semplicemente troppo corto e, una volta presa dimestichezza con le meccaniche di combattimento, finisce troppo in fretta. Questo, unito ad alcune sezioni platform non proprio brillanti e ad alcune imperfezioni nel sistema di combattimento, abbassa inevitabilmente un giudizio che invece sarebbe potuto essere eccellente.
Stupendo da vedere
Il comparto tecnico di Unto the End è eccellente. Le animazioni, pur essendo bidimensionali, sono dettagliate e convincenti e gli scenari sono sempre molto belli da vedere. Lo stesso si può dire per il protagonista e le creature, che vantano sprite ben fatti e ricchi di piccoli dettagli.
Il comparto artistico si conferma eccelso, grazie al design di creature e luoghi molto curato. In effetti, parliamo di una direzione artistica capace di sostenere il peso dell’intera “narrazione”, grazie a un’atmosfera ricca di fascino e a creature sempre belle da vedere.
Infine, il comparto sonoro è davvero ben fatto, grazie alla cura maniacale dei dettagli: possiamo sentire i passi sulla neve, il fuoco, i versi delle creature e persino il respiro del protagonista, che diventa più affannoso nei momenti carichi di tensione. Sembrano piccolezze, ma nel complesso contribuiscono a creare un’atmosfera memorabile.