Che il videogioco sia uno dei medium con potenzialità artistiche maggiori, è una discussione che vale sempre la pena intraprendere. È noto che l’arte venga generalmente suddivisa in sette categorie, che sono architettura, musica, pittura, scultura, poesia, danza e infine cinema. Cos’è che definisce queste varie discipline come arte? La risposta a questa domanda la si trova facilmente consultando il vocabolario, che ti riporterà il seguente significato: “attività umana volta a creare opere a cui si riconosce un valore estetico, per mezzo di forme, colori, parole o suoni; complesso delle opere prodotte in un’epoca o paese che denotano l’insieme di caratteri culturali”. Sicuramente il valore estetico di una di queste discipline è a discrezione del gusto personale di chi le fruisce, ma anche alla capacità della suddetta opera di suscitare delle emozioni. Tutti elementi che possono essere ritrovati nei videogiochi: eppure, nonostante ciò, permane una buona fetta di pubblico che continua a definire il medium come “balocchi per bambini“. Per carità, in determinati casi è vero ed è legittimo che sia così, il divertimento fine a se stesso che può offrire un videogioco è sacro. Basterebbe vedere solo entrambe le facce della medaglia e non una soltanto. In questo contesto, se il videogioco fosse finalizzato solo alla pura concezione ludica, un titolo come Vane non esisterebbe.
Un titolo controverso
Nonostante la mia prefazione ritengo che il videogioco sia un miscuglio di arti ben amalgamate e non debba crollare sulla peculiarità che lo contraddistingue dal cinema: l’interattività o se preferisci il gameplay. Persino What Remain of Edith Finch, un’avventura grafica, riesce a unire alla sua enorme potenza artistica e narrativa un gameplay originale e che si fonde alla perfezione con i due elementi precedentemente citati. Vane è un gioco estremamente riuscito dal punto di vista artistico, ma un completo fallimento dal punto di vista tecnico e di gameplay.
Vane è la prima opera dei Friend & Foe Games e, almeno artisticamente, è un piccolo capolavoro. Si sviluppa grazie ad un uso magistrale dello stile Low Poly, in cui l’insieme di texture prive di poligoni vanno a creare un mosaico pazzesco di scorci, talmente evocativi che si ha spesso la sensazione di trovarsi all’interno di un’opera d’arte vera e propria, così suggestivo che sicuramente riuscirà a incantare i tuoi occhi. I complimenti a Friend & Foe Games finiscono nel momento in cui ci si allontana dal parlare dell’aspetto estetico da quando più che un opera lo si consideri quello che è: un videogioco.
Vane può essere suddiviso in due macrosequenze che scandiscono il ritmo e l’anima del titolo. Comincia in modo criptico e con un flash forward, che ci mostrerà “una sorta” di bambino in un mondo devastato da cui siamo in fuga. Una volta terminato questo stranissimo prologo, si aprirà a noi la prima macrosequenza. Impersoneremo un corvo e saremo in una landa desolata. L’effetto iniziale che lascia il titolo è molto bello e sopratutto i primi minuti di volo risultano molto appaganti. Cominciano a diventare molto frustranti invece nel momento in cui saremo chiamati a risolvere gli enigmi ambientali e ad appollaiarci sopra alle varie strutture del gioco. Il nostro compito sarà quello di liberare altri corvi in modo di poterne richiamare il numero più alto possibile per far peso e attivare con la pressione macchine dalle geometrie ignote. Se in questa prima parte, passeremo più tempo in forma corvina e poche volte andremo ad assumere forma umana, questo trend subirà una brusca inversione nella seconda macrofase. Dopo aver liberato altri piccoli bambini in forma corvina dalla loro gabbie e averli costretti alla trasformazione in esseri umani, il gioco subirà un brutale time skip e potremo accedere nella seconda macrofase. Qui l’ambiente cambierà totalmente, il tempo si farà tempestoso e tutto si farà metallico, quasi rugginoso. La palette cromatica subirà quindi un forte cambiamento, riuscendo a rompere la patina di monotonia che si andava creando. In questa seconda fase quasi mai si ricorrerà alla forma corvina, e verrà interpretata dal nostro avatar quasi sempre in forma umana.
Il gioco è visivamente splendido, certo, ma queste due macrosequenze soffrono di due difetti troppo grandi per poterci passare sopra. Nella prima parte, oltre un iniziale difficoltà nel comprendere di ciò che ci viene richiesto per proseguire, sarà anche una pessima gestione dei controlli a non permetterci di capire intuitivamente cosa fare. Fermarsi ed appollaiarsi sopra qualcosa può risultare un’azione davvero frustrante per via dell’imprecisione di volo e dei controlli. Come in forma umana, anche in forma corvina la telecamera allontanerà o avvicinerà la prospettiva a casaccio, a volte andando a creare delle vere e proprie difficoltà di atterraggio. Nella seconda fase i problemi peggiorano esponenzialmente, fino a rovinare completamente un’opera che all’inizio sembrava mostrare solo qualche ingenuo inciampo.
La telecamera di gioco quando si è in forma umana e ci si accosta alla pareti fa del suo peggio, tanto che più volte sono caduto e ho dovuto ricominciare la scalata perché non riuscivo a capire dove andavo. Te lo sta dicendo un amante dei souls-like che in passato ha avuto a che fare con telecamere problematiche, ma qui si supera ogni limite. Per fortuna però, questi grandi incidenti di visuale si presentano solo in alcune sezioni di gioco, sopratutto quelle che si svolgono nei luoghi più angusti.
Escludendo quasi del tutto la meccanica della trasformazione, unica nota interessante del gameplay di Vane, la seconda fase di gioco propone enigmi ripetitivi e ben poco congegnati che si accompagnano a un gameplay ripetitivo e ridotto all’osso.
Vane è molto breve, dura all’incirca 3 ore. Può essere rigiocato una seconda volta per poter assistere al secondo finale fornito dagli sviluppatori. Interessante e ben riuscito il comparto sonoro, sostenuto da un sintetizzatore che, per quanto apparentemente stonato con lo stile low poly, riesce ad avere un suo perchè.
Sulla falsa riga di Fumito Ueda
Se sei interessato a questo titolo è altamente probabile che tu conosca Ico, Shadow of the Colossus o il più recente The Last Guardian del 2016. Se non lo conosci permettimi di spiegarti qualcosa sulla poetica del suo autore, Fumito Ueda. Sebbene questi tre titoli non abbiano delle connessioni dirette fra loro, sono tutti accomunate da alcuni elementi: un obiettivo ben chiaro, un mondo di gioco criptico, mistico e sconosciuto in cui si viene immersi senza spiegazioni, ambientazioni desolate e desolanti, fatte di lande silenziose e in grado di comunicare un senso di malinconia. Non è strano riconoscere molte di queste peculiarità in Vane, ma si sono molto allontanate dalle orme del maestro. Sebbene inizialmente potrebbe risultare incomprensibile, la narrativa di Fumito Ueda si sviluppa fino a regalare al giocatore tutti i tasselli di cui ha bisogno per comporre il mosaico della storia. I protagonisti hanno obiettivi, desideri, paure e anche se molto poco loquaci, si entra in empatia con loro. Vane è una teca di cristallo all’apparenza simile ai giochi di Ueda, ma totalmente privo di qualcosa che luccichi da custodire al suo interno. La narrativa non ha un significato preciso, non si sa cosa ne perché lo si faccia e, alla fine del viaggio, non rimane nulla.