Spesso si sentono notizie allarmanti o spiazzanti sui videogame; pericolosi, devianti, portano all’isolamento sociale. Tante sono le cose che possono far mettere in cattiva luce un passatempo che di pericoloso ha ben poco.
La precedente generazione è cresciuta senza i cellulari, nelle sale giochi; uscendo a giocare all’aria aperta, sotto il sole, girando in bicicletta con le ginocchia sbucciate. I “giovani d’oggi” con il telefonino alla mano, la PlayStation, Facebook sembra abbiano perso la voglia di vivere.
La realtà è ben diversa, ma per chi non ha vissuto il periodo della digitalizzazione, è difficile comprendere appieno il mondo dei ragazzi di oggi. Molte sono le domande che ogni buon genitore si pone vedendo la propria prole davanti ad uno schermo; quante ore deve giocare? Con chi gioca? Come faccio a sapere quello che sta facendo e se sta correndo dei rischi?
Il gaming disorder
Iniziamo con il punto che di sicuro è il più preoccupante ed allarmante, ovvero il gaming disorder. Durante la 72esima World Health Assembly tenutasi a Ginevra nel 2019, un congresso di scienziati si è riunita per aggiornare l’undicesima versione del International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems.
L’ICD, acronimo del sistema diagnostico di cui sopra, è una classificazione internazionale universalmente riconosciuta di vari tipi di disturbi psichici, psichiatrici e neurologici. Redatto a scopo clinico è un manuale che racchiude i disturbi di cui sopra, catalogandoli e identificandoli in maniera precisa e metodica.
Nel nostro caso in particolare, in questo congresso il gaming disorder viene identificato come:
una serie di comportamenti persistenti o ricorrenti legati al gioco, sia online che offline, manifestati da: un mancato controllo sul gioco, una maggiore priorità data al gioco a discapito delle attività quotidiane nonché gli interessi personali ed infine una continua escalation del gaming nonostante conseguenze negative in ambiti personali, familiari, sociali, ecc…
Analizziamo ora questo disturbo però, visto che senza il giusto contesto, molti siti hanno descritto il gaming disorder senza andare nello specifico, limitandosi ad informazioni errate o approssimative.
Il gaming disorder ovviamente si applica ai videogame in ogni loro forma edaspetto, che siano sullo smartphone, su un PC o sulla console, senza distinzione alcuna. L’aspetto fondamentale per la diagnosi è il tempo; non si tratta di un giorno, una settimana o un mese.
Si parla di periodi lunghi di osservazione, perché l’abuso diventi a tutti gli effetti patologico. Il riconoscimento infatti si attesta in un arco temporale di 12 mesi, anche discontinui in cui si denotino i comportamenti riportati.
Si tratta inoltre di una dipendenza, un disturbo grave, caratterizzato da intensa attività; per farci un idea chiara, si tratta dell’equivalente di una dipendenza seria da gioco d’azzardo o droga. Parliamo infatti di persone che per giocare ai videogame perdono il lavoro, trascurano gli studi, ignorando familiari, amici o eventuali partner.
Secondo il Manuale Diagnostico (DSM 5) ci sono 9 criteri per inquadrare una persona affetta da gaming disorder; non sarà una partita troppo lunga o una rinuncia ad un’uscita a farli “ammalare”, per cui su questo punto possiamo stare tranquilli.
Il tempo per i videogame
Girando tra i vari siti che trattano il rapporto dei nostri figli con i videogame se ne leggono di ogni; chiaramente regolarsi con tante voci contrastanti è veramente difficile. Chi dice che 30 minuti al giorno sufficienti, chi 1 ora alla settimana.
In realtà il discorso è semplice e gradito alla tecnologica prole: i videogame fanno bene al cervello, ovviamente nella giusta misura. A supporto di questa tesi vediamo alcune pubblicazioni scientifiche che sono molto più autorevoli di un pediatra, per quanto possa essere professionale ed esperto o noti blog di mamme.
Una ricerca condotta dalla Oxford University, pubblicata anche su Pediatrics, una rivista specializzata ha condotto una ricerca comportamentale su 1391 bambini di età compresa tra i 9 e i 15 anni. Da questa ricerca emerge che i bambini che hanno giocato tra 1 e 3 ore giornaliere hanno avuto diversi benefici.
Intanto sappiamo già come i videogame forniscano un potenziamento cognitivo interessante. Il miglioramento osservato riguarda anche la socialità, la capacità di pensiero plastico, la memoria, la cognizione spaziale e i tempi di elaborazione e reazione.
In effetti i videogame richiedono un set di abilità non indifferente; coordinarsi, valutare, elaborare strategie, ricordare percorsi, mosse o combinazioni, sono abilità che restano anche senza il gamepad in mano. Ovviamente 3 ore al giorno potrebbero essere troppe obiettivamente; ma mantenersi sui 90 minuti sarebbe un compromesso piuttosto valido e per niente nocivo.
Una promessa è una promessa
Supponendo di aver accordato 60 minuti di gioco giornalieri dimostrando magnanima clemenza alla prole, veniamo al punto che fa infuriare noi genitori: la tremenda risposta “ancora 5 minuti”. Per un adulto le vicissitudini di gioco possono sembrare frivolezze, ma per i giocatori no.
Probabilmente quei 5 minuti o l’ultima partita sono fondamentali per completare l’attività avviata, magari insieme ad altri amici, impegnandoli per un obiettivo comune. Mantenere una regola fissa sull’orario è sicuramente positivo nel rapporto genitore-figlio.
Una regola che però non va mantenuta con la forza, ma con ferma ragionevolezza; staccare la spina, spegnere la tv, PC o console che sia, sono delle pratiche più controproducenti che altro. Molto meglio è iniziare a dare un “countdown” 15-10-5 minuti prima dello scadere del tempo.
In questo modo il giocatore avrà il tempo di completare la partita in corso o organizzarsi per portare a termine l’attività; insomma essere comprensivi, capire un’esigenza è sicuramente più efficace della autoritaria imposizione.
I gruppi di gioco e PEGI
I videogame sono spesso portatori di contenuti, sia linguaggio o immagini, non sempre adatto ad ogni fascia di età. Per evitare di esporre i più piccoli a contenuti inappropriati, esiste un sistema di classificazione, il PEGI.
Questo sistema di suddivisione serve a dare diverse categorie ai videogame basandosi su contenuto, linguaggio, violenza e altre caratteristiche. Basta esaminare la copertina del gioco, o la scheda tecnica per vedere chiaramente se i contenuti del videogioco sono adatti ai nostri figli.
Su questo c’è davvero poco da contrattare; ci sarà un momento per i “videogame dei grandi”, ma esporre un bambino di 8 o 10 anni a contenuti violenti, non è proprio un toccasana, anzi. Questo tipo di contenuti potrebbe portare a terrori notturni, incubi o altri problemi non gravi, ma facilmente evitabili seguendo le istruzioni.
I sistema PEGI oltre a proteggere i più giovani da contenuti inappropriati, serve anche a “schermare” eventuali differenze d’età marcate, che potrebbero esporre i bambini a dialoghi, argomenti non proprio fanciulleschi.
Osservare della competitività, dell’agonismo nel gioco è del tutto normale; ci si può arrabbiare, o sentire frustrazione perdendo. L’importante è che grazie al sistema PEGI chattare o parlare con giocatori adulti è piuttosto difficile, il che ci rasserena evitando che sentano o imparino nuovi “vocaboli” o espressioni.
La comprensione dei genitori
Indipendentemente da constatazioni, ricerche, pareri di esperti, per tutelare i nostri figli da eventuali problemi legati all’utilizzo di videogame, il buonsenso e la comprensione sono alla base di ogni cosa. Saper ascoltare, capire, cogliere determinati segnali è fondamentale in ogni aspetto, come sa ogni buon genitore.
I videogame non fanno male, non isolano dal mondo o dalla società, non sono una minaccia per i bambini. Semplicemente, come ogni cosa è necessario che i genitori sappiano porre limiti e regole per evitare che le cose peggiorino.
Giocare con i propri figli è una eccellente occasione per passare con loro del tempo di qualità, creando un nuovo legame e dandogli la soddisfazione di svolgere un’attività a loro molto gradita. Questo ovviamente non preclude per loro altri tipi di esperienze.
I bambini che rimangono ore ed ore davanti allo schermo lo fanno perché ignorati, abbandonati a loro stessi. Fare una partita con i propri ragazzi, informarsi sul loro gioco preferito, su quello che fa o con chi gioca non è d’altronde tanto diverso da seguirli nelle loro attività sportive o scolastiche.
Le accuse mosse contro il mondo dei videogame, da genitori infuriati, associazioni culturali, medici, sono state di volta in volta smontate in maniera scientifica. Il gaming non ha controindicazioni, non è più pericoloso di una partita a calcetto o un gelato; ovviamente come in tutto, basta usare la moderazione.