Fin da quando sono arrivati al grande pubblico, i videogiochi sono stati molto discussi per i loro effetti su chi li gioca. C’è chi dice che siano nocivi, che diano dipendenza, che insomma non abbiano nulla di buono da offrire. Viceversa, l’altra parte dell’uditorio afferma che il videogaming abbia solo vantaggi da dare.
Come pare ovvio, entrambi gli estremi si perdono qualcosa di importante della prospettiva opposta. E’ difficile infatti che qualcosa sia puramente benigno o puramente maligno.
Se è vero che un uso smodato e incontrollato dei videogiochi può causare dipendenza o comunque far danni, è altrettanto vero che un uso moderato e ponderato degli stessi può avere degli effetti veramente interessanti.
Giocare ai videogiochi allena a prendere decisioni
Nei suoi studi sulla relazione tra videogiochi e capacità decisionali, la professoressa di neuroscienze all’università di Ginevra Daphne Bavelier sembra indicare che i videogames incrementino le nostre facoltà cognitive, migliorando anche le capacità decisionali fino ad un 25% di miglioramento prestazionale.
Risultati incredibili dunque, ovviamente da prendere con le pinze, che suggeriscono che giocare non sia per forza dannoso, ma che anzi una giusta misura possa aiutare a crescere.
Cosa ci sta sotto?
Innumerevoli fattori possono favorire questo fenomeno, ma procediamo con ordine individuando quelli probabilmente più importanti.
In primo luogo, ogni videogame ha inizio con un tutorial che introduce alle dinamiche di gioco, collocando il giocatore in una sorta di “ambiente protetto” in cui provare ad interagire con l’ambiente. E’ qui che piano piano, e anzi piuttosto rapidamente, si impara a muoverci nel mondo di Hitman, a gestire gli eserciti di un impero nei Total War, o piccole città in Banished. Le ore iniziali quindi ci spingono a capire cosa possiamo o non possiamo fare nel gioco, andando ad esplorare i limiti della nostra libertà d’azione. E rispetto alla scuola, questa è la grande innovazione dell’apprendimento nei videogiochi: si impara all’interno di un contesto, si impara concretamente a “fare” qualcosa all’interno del mondo di gioco.
Questo aspetto, chiamato da James Paul Gee “apprendimento contestualizzato”, porta il giocatore ad imparare a considerare tutti gli elementi a disposizione per fare la propria mossa. Dunque non rimane nulla a livello teorico, ma quanto si impara in un videogioco è subito spendibile all’interno dello stesso.
L’apprendimento contestualizzato porta con sé una spirale virtuosa che, come dice Mishra nel suo studio del 2011, va a migliorare le capacità attentive dei videogiocatori.
Te ne sarai accorto anche tu che, mentre stai giocando, riesci a focalizzare quali sono gli elementi utili per superare l’ostacolo o raggiungere il vostro obiettivo. In titoli come Dark Souls, per quanto frustranti, si impara che ogni boss ha il suo pattern, assimilato il quale si riesce a sconfiggerlo senza difficoltà. Per batterlo però, il giocatore tiene a mente non solo la sua sequenza di attacco, ma le proprie possibilità di offensiva, le dimensioni e le caratteristiche dell’ambiente di gioco, le pozioni vita a disposizione, la quantità di vita rimasta e così via. Guardando poi alla tua vita fuori dallo schermo, magari riesci a trovare qualche episodio in cui, applicando lo stesso ragionamento, sei riuscito a prendere una decisione difficile più rapidamente di quanto credessi.
Per quanto sia banale, in realtà non è così scontato.
Non solo meglio, ma anche più velocemente
Numerosi esperimenti hanno messo a confronto la rapidità con cui vengono prese decisioni, con risultati che premiano i giocatori assidui a discapito di chi invece non ha mai giocato.
Ovviamente sono risultati ancora da approfondire, ma quel che è certo, anche perché logico, è che chi si tiene allenato nel prendere decisioni sulla base dell’analisi degli elementi a disposizione, è in grado di prendere decisioni migliori e più in fretta anche in altri contesti.
A riprova di quanto detto fino ad ora, il ramo emergente della gamification (di cui parleremo in un altro articolo) va proprio in questa direzione, utilizzando i videogiochi non solo per la selezione del personale, ma soprattutto per la sua formazione, permettendo di acquisire attraverso il gioco delle skills importanti per il mondo del lavoro.
Quel che abbiamo dato per scontato, ma è bene tenerlo a mente, è che comunque la nostra personalità ha un ruolo che può impedirci, o al contrario aiutarci, nel prendere decisioni, al di là di quanto si giochi. Tuttavia, cecché se ne dica, è evidente ormai che ci sia una relazione tra videogiochi e capacità decisionali che non solo deve essere esplorata più a fondo, ma che è alquanto promettente.
Di fronte a queste informazioni, sebbene necessitino di ulteriori approfondimenti, chi ha il coraggio di dire ancora che “giocare è roba da bambini”?