Per quanto emancipata e progressista, la nostra società conserva ancora diversi tabù, e in special modo verso quelle nuove forme di espressione ancora non proprio conosciutissime, per quanto affermate. E siccome il nuovo spaventa, lo si investe di immagini negative, quasi esorcizzanti la minaccia che potrebbe rappresentare; lo stesso accade, lo si prova su pelle noi gamers, ai videogiochi, ed in particolar modo per quelli che vengono definiti dall’uomo comune “videogiochi violenti”.
Recentemente, ma è da anni ormai, si sente di notizie in cui la causa di un reato o addirittura un omicidio venga attribuita ai videogames, con sentenze come “mio figlio è stato rovinato dai videogames”, “GTA V esorta alla criminalità”, e via dicendo. Nel senso comune infatti, il contenuto aggressivo è sufficiente per sancire come causa prima di un misfatto il videogioco stesso.
Nell’immaginario collettivo, a differenza di cinema (non ha contenuti violenti ed assuefacenti alla violenza anche questo?) e di altre forme d’arte, i videogiochi sono stigmatizzati come diseducativi, incentivanti comportamenti scorretti nella vita in società. A sostegno di queste posizioni ci sono coorti di studi scientifici, i quali tuttavia spesso e volentieri non considerano il contesto della persona soggetto di studio, ignorandone origine, storia familiare, contesto sociale. Un po’ come dire che se un bimbo che fa parte di una baby gang o è nella criminalità organizzata picchia il compagno perché gioca a Fortnite, non per il contesto di provenienza povero di stimoli educativi e di supporti ad una crescita sana. La colpa è di Fortnite, non di chi permette ad un essere che ancora deve scoprire come funziona il mondo di starci quanto gli pare e piace.
Tutto questo, e molto altro in realtà, rientra in quella serie di credenze che, confermate da studi svolti con grossolana metodologia, hanno contribuito ad una mal informazione che ha contagiato dapprima i videogiochi a contenuto violento, successivamente il mondo videoludico in senso ampio.
Sull’argomento ci sarebbe tanto di cui parlare, ma prendendo spunto dalla trattazione fatta dai ragazzi di Horizon Psytech & Games, vediamo, sinteticamente, di analizzare alcuni miti assolutamente da sfatare.
Il primo è il più inflazionato forse: i videogiochi violenti rendono più aggressivi rispetto a chi non ci gioca
Assolutamente non veritiera come affermazione. Christopher J. Ferguson, docente alla Stetson University, sostiene infatti che sul lungo termine non vi sia traccia di un legame tra videogiochi violenti e livelli di aggressività; un po’ come nei film, del resto, ovvero che dopo un film di guerra magari siamo anche un po’ adrenalinici e lì per lì abituati alle scene viste fino a poco prima, ma tornando nel nostro quotidiano riprendiamo in mano la nostra consueta sensibilità. In sostanza, e lo affermano altre ricerche, non sembra esserci un diverso funzionamento cerebrale e relativo all’empatia tra chi è abituato a sparare con joypad o mouse e tastiera e chi invece gioca a carte o ascolta abitualmente musica come passatempo.
Se giochi ai videogiochi, soprattutto violenti, avrai danno al cervello e sarai meno empatico
Come già accennato, naaah. Szycik, Mohammadi, Münte e te Wildt nel 2017 hanno pubblicato uno studio che sfata questa seconda falsa credenza, ovvero che, soprattutto negli adolescenti in cui alcune connessioni neurali devono finire di formarsi, che i videogiochi possano causare delle compromissioni al funzionamento del cervello. Questi esperti non hanno trovato differenze tra chi gioca e chi invece non, né a livello di funzionamento né a livello di aggressività. Studi precedenti sostengono il contrario, avendo misurato il comportamento empatico e aggressivo nelle ore immediatamente successive, senza però considerare altri fattori che potrebbero aver concorso a riprodurre un comportamento diverso, non emergendo una connessione diretta con l’uso del videogame.
Quante volte è capitato, dai! I giovani che compiono stragi ed omicidi sono sempre giocatori di videogiochi violenti!
Nope. In ogni epoca, dall’antica Grecia ad oggi, i bambini giocavano a fare i soldati, con le spade di legno e oggi invece coi videogiochi. Come è facile dedurre dalla psicopatologia e dalla psichiatria
Un assassino non è la conseguenza di un videogioco ma di un disagio mentale grave, che è prodotto dalla storia personale e familiare, intraindividuale e intracerebrale. Non dai videogiochi.
Però questo è innegabile, i videogiochi sono diseducativi
Assolutamente no. Di questo ne abbiamo già parlato in diversi articoli, relativamente all’etica nei videogiochi, agli effetti positivi sulle capacità cognitive e decisionali. Spesso infatti dietro alla struttura e alla narrazione di molti titoli si cela un insegnamento morale profondo, oltre alla possibilità di allenarsi in decisioni eticamente connotate. Dunque i videogiochi, in questo senso, possono essere anzi una “palestra di vita“.
Vabbè, almeno sfogano e scaricano la rabbia
Si e no. Se all’atteggiamento con cui ci si approccia ad un picchiaduro o un action shooter è quello di divertirsi e svagarsi, come ogni hobby aiuta a scaricare le tensioni della giornata. Se però viene utilizzato per coltivare questi sentimenti negativi, essi si amplificano sul momento, alimentati dal perpetrarli anche in virtuale, rendendo più nervosi nel momento immediatamente successivo al gioco. Detto questo, rimane valido il discorso fatto nei punti precedenti.
Fanno parte di un complotto internazionale del Pentagono
Dopo aver sostenuto che la terra è piatta, che i polpi sono alieni, le scie chimiche, i vaccini per controllare la mente della popolazione, una fetta della specie umana ha seriamente affermato che i videogiochi siano uno strumento del Pentagono per promuovere omicidi di masso in modo inconsapevole per l’ascoltatore e quindi subliminale, al fine di tenere sotto controllo la demografia mondiale. Sembra assurdo ma qualcuno ci crede. Sebbene giochi come American’s Army 3 fossero usati per invogliare ad arruolarsi nell’arma, è difficile pensare che sia tutto dirottato per far impazzire la gente, proprio per i punti trattati precedentemente. Di nuovo, chi fa stragi è legato a ben altri fattori scatenanti. Su questo non mi soffermo nemmeno perché, se sei dotato di intelletto, caro lettore, riuscirai a capire fino a che punto ipotesi plausibili possano diventare vere e proprie assurdità.
Un videogioco, converrai anche tu con questo, è un passatempo che ti permette di andare oltre ciò che è possibile in altro modo, in un certo senso dando concretezza a quel che prima del suo avvento era solo immaginazione e fantasia. Come tutti i passatempi, ha una sua dignità e contempla dei rischi da tenere ben presenti (evitabili riferendosi alle linee guida, come per esempio la classificazione PEGI) per un uso consapevole che permette di trarne tutti i benefici che ha da offrire.
Purtroppo c’è molta ignoranza al riguardo, soprattutto da chi non gioca, ma è ancora peggio quando determinate affermazioni provengono da chi dovrebbe essere “addetto ai lavori”, come il capo sviluppatore di nier automata, il quale disse che il motivo per cui uccidiamo nei videogame è perché ci piacerebbe farlo nella realtà. La gente comune potrebbe pensare “e se lo dice lui…”
In quel caso Yoko Taro intendeva dire che il conflitto è la naturale inclinazione dell’essere umano ?
Non intendeva dire che i giocatori siano assassini ma si riferiva al concetto secondo cui sono i limiti sociali ad imporre alle persone di non ammazzarsi a vicenda. Secondo questa teoria, noi non lottiamo solo perchè le leggi imposte ci impediscono di farlo.
C’è da dire che è stato fraintendibile e poco chiaro, ma il suo messaggio era un altro ?