Il genere dei punta e clicca può essere fatto risalire direttamente agli albori della storia dell’intero medium videoludico; una vera e propria evoluzione delle avventure testuali, uno dei primi esempi di interazione videoludica, arrivate prepotentemente a metà anni ’70 a rivoluzionare il concetto stesso di intrattenimento per com’era concepito all’epoca, e a porre le basi per tutto ciò che c’è stato dopo, fino ad arrivare ai giorni nostri.
La peculiarità principale del punta e clicca sta nell’azione ridotta all’osso, essendo il gameplay molto basilare, il genere ha dovuto sempre reggersi su altre basi, in particolare sul raccontare storie dal forte impatto emotivo. Nel corso degli anni, il genere ha saputo innovarsi e rinnovarsi, rimanendo sempre fedele alle proprie origini, ma riuscendo allo stesso tempo a offrire al giocatore nuovi modi per poter godere di ottime storie, come gli interactive drama, che spesso riservano importanti scelte morali e portano a finali segnati proprio da queste scelte, come nel caso delle acclamate produzioni targate Quantic Dream.
Di tanto in tanto però il genere riesce a tornare alle origini anche in tempi moderni, un esempio sono gli italianissimi The Wardrobe o Detective Gallo, punta e clicca estremamente classici, che riescono tuttavia a rivelarsi molto interessanti anche nel 2020. Proprio in questo solco tracciato dai classici, tra cui vanno citate le produzioni LucasArts come i vari Monkey Island e Day of the tentacle, si inserisce When the past was around, punta e clicca dello studio Mojiken che ha fatto capolino durante l’Indie World targato Nintendo dello scorso 15 dicembre, per essere poi immediatamente rilasciato su Switch, PlayStation 4, Xbox One e PC.
Il titolo è riuscito istantaneamente ad attirare l’attenzione grazie a uno stile grafico dai toni delicati, nonostante arrivasse tra gli ultimi annunci e si mostrasse solo di sfuggita. In realtà When the past was around è molto più di una grafica gradevole, è una storia fatta di emozioni di ogni sorta, ma che purtroppo non centra appieno il bersaglio a causa di alcune lacune ludiche che rendono l’esperienza molto meno interessante del previsto.
L’ultimo viaggio
When the past was around racconta la storia di Eda, una giovane violinista innamorata di un uomo… dalla testa di gufo. In realtà il titolo non è e non vuole essere un’opera votata al nonsense, piuttosto questa natura animalesca del personaggio cela un significato più profondo e arcaico: il gufo nelle culture antiche è sempre stato simbolo di saggezza e comprensione, pienamente in linea con ciò che il titolo vuole insegnare.
Infatti, in When the past was around assistiamo alla crescita di Eda, non tanto a quella anagrafica che viene raccontata in maniera non lineare, quanto piuttosto a quella sentimentale ed emotiva, vero e proprio leitmotiv di tutto il titolo. Il titolo, che presenta personaggi sempre muti dal momento che è la colonna sonora a sostenere l’intera narrazione, riesce con poche scene a costruire un compendio delle emozioni umane, spaziando dalla gioia e la spensieratezza, fino al dolore e, a tratti, la depressione.
Con questa efficace linea guida, si riesce a costruire una narrazione che risulta veramente ben inquadrata, ma che purtoppo si esaurisce veramente in troppo poco tempo. Per arrivare ai titoli di coda sarà sufficiente un’oretta circa, a causa della caratterizzazione dei personaggi totalmente assente, è letteralmente impossibile riuscire ad affezionarsi e rimanere coinvolti dal finale, per quanto sia carico di emotività e tutto sommato ben costruito.
Se invece di una sola fase della vita di Eda ci si fosse concentrati per intero sulla sua crescita, o anche se si fosse approfondita in maniera adeguata la storia d’amore su cui si basa il titolo, il giocatore sarebbe sicuramente riuscito a empatizzare con la giovane violinista; anche qualche sezione in cui si facesse chiarezza sulla vera natura dell’uomo con la testa di gufo non avrebbe guastato, contribuendo a dare un quadro completo, e decisamente più suggestivo, della vicenda.
Punta e clicca… e basta
Come anticipato nell’introduzione, il gameplay è estremamente basilare. When the past was around si pone come un classico punta e clicca in cui dovremo interagire con alcuni oggetti sparsi per le varie schermate di gioco per risolvere i vari enigmi ambientali che porteranno alla schermata successiva.
Pensando ai capisaldi del genere come Maniac Mansion o il suo successore spirituale, il già citato Day of the tentacle, ciò che rendeva i titoli interessanti era la complessità di fondo che osteggiava l’avanzamento. Per esempio, in Day of the tentacle si alternavano ben tre linee temporali in cui le azioni compiute nel passato o nel presente si riflettevano poi nelle epoche future; o ancora, non era sempre intuibile come interagire coi vari oggetti che si potevano raccogliere, costringendo costantemente il giocatore a uno sforzo mentale e all’uso costante del pensiero laterale.
Queste caratteristiche portavano l’esperienza a essere estremamente interessante, per non parlare della folle e assurda trama. When the past was around invece si configura come un’esperienza estremamente lineare, in cui sarà davvero semplice intuire come gli oggetti debbano interagire tra loro e in cui ogni azione avrà un preciso ordine logico sul quale non ci sarà bisogno di ragionare più di tanto. Solo in un paio di momenti viene richiesto al giocatore di fermarsi a riflettere a causa di un paio di enigmi ambientali leggermente più complessi degli altri, ma nulla di realmente invalicabile.
Questa caratteristica, unita alla trama solo appena abbozzata, concorre a rendere il titolo un’esperienza, purtroppo, facilmente dimenticabile, e che lascerà il giocatore quasi del tutto indifferente dopo i titoli di coda, un vero peccato.
Il comparto tecnico: note stonate!
A livello tecnico, il titolo salta subito all’occhio a causa della sua direzione artistica, purtroppo però la colonna sonora fa da contraltare, rovinando un’esperienza che rimane gradevole solo visivamente.
Lo stile grafico come anticipato è davvero piacevole e interessante. I toni pastello danno un tocco rilassante a ogni singolo scenario del gioco, trasformando ogni singolo frame in una di quelle illustrazioni che si trovano sui racconti per ragazzi, e che mantengono un certo fascino visivo anche per i lettori adulti. Il character design poi è decisamente il pezzo forte dell’esperienza: i pochi personaggi che appaiono ricordano molto da vicino le produzioni Level-5, la serie del Professor Layton in particolare, aggiungendo però un tocco quasi disneyano, che riesce a rendere i personaggi unici quel tanto che basta per rendere almeno loro memorabili.
La colonna sonora invece è probabilmente lo scivolone peggiore dell’intera produzione. In un titolo che fa della musica uno dei suoi capisaldi, essendo la protagonista Eda una giovane violinista, l’accompagnamento musicale dovrebbe essere uno degli aspetti più curati, e in effetti è così, ma solo a livello di effetti sonori. Le poche tracce che compongono la colonna sonora invece, dopo pochissimo si rivelano ripetitive e a tratti davvero snervanti, soprattutto in quei pochi momenti in cui il giocatore dovrebbe fermarsi a riflettere con un po’ più d’attenzione per capire come andare avanti.
In conclusione, When the past was around non è un brutto titolo, tuttavia l’esperienza si rivela davvero povera a livello contenutistico, lineare nel gameplay e con qualche pecca anche a livello tecnico. Date queste premesse sembrerebbe uno dei titoli peggiori su cui si possa mettere mano, ma stranamente non è così: tutto sommato l’esperienza vale un’oretta d’attenzione da parte del giocatore, ma solo qualora si fosse alla ricerca di un’esperienza estremamente leggera e se si è amanti sfrenati del genere punta e clicca.