Con il passare degli anni, e dei capitoli, la serie di Wolfenstein ha preso una piacevole deriva ucronica; con il reboot del 2014 e lo slittamento nel tempo della serie, l’elemento sovrannaturale ha lasciato spazio alla tecnologia in un mondo in cui i nazisti non hanno perso la guerra, ottenendo una egemonia globale.
Nel 1980 alternativo di Wolfenstein, i nazisti restano una forza malvagia e oppressiva per l’intera Europa, anche dopo che un senescente Hitler è stato ucciso dal protagonista della serie BJ Blazkowicz.
Trascorsi alcuni anni dagli eventi di New Colossus, il massacro di nazisti continua ad opera di Jessica e Sophia, che sono le protagoniste di questo spin-off giocabile esclusivamente in modalità cooperativa.
Siamo quindi, per la prima volta nella serie, in presenza di un titolo pensato per il multiplayer; non avrà dunque una trama particolarmente sviluppata come i precedenti, forse non tutto quanto sperimentato con il suo approccio innovativo verrà manenuto, ma Youngblood sa farsi valere.
Sangue giovane e fresco
Durante l’intro del gioco ci vengono mostrate Jess e Soph con i genitori Anya e BJ, alle prese con una lezione di sopravvivenza nel natio e rurale Texas.
In questo filmato si avverte un senso di protezione da parte di genitori che hanno passato il peggio e vogliono preparare le loro figlie a gestire situazioni analoghe; il tutto in contrapposizione all’esuberanza spensierata delle gemelle quando si trovano da sole.
Aggiungendo alle due sorelle la loro migliore amica Abby, figlia di Grace Walker di Wolfenstein 2, otteniamo un trio che aggiunge freschezza e spavalderia alla saga.
Tornando alle giovani Blazkowicz, le loro personalità emergono rapidamente: Jessica e Sophia sono chiassose e talvolta capricciose, come molti teenager e giovani adulti, il che conferisce loro una personalità genuina, che viene amplificata da un doppiaggio molto buono.
Durante tutto il gioco le ragazze si ispirano a Arthur & Kenneth, superspie protagoniste dei loro romanzi preferiti, immaginandosi talvolta al posto dei loro eroi; nel corso delle loro scorribande parlano di atti compiuti dai genitori, si caricano in battaglia e faranno degli sciocchi balletti al ritmo del synthpop anni ’80, restituendoci dei personaggi molto realistici in seno alla famiglia Blazkowicz.
Questa rappresentazione dei personaggi serve a colmare i vuoti lasciati da una trama più leggera, cosa normale per un titolo multiplayer concentrato, più che altro, nel conferire il giusto carisma ai personaggi principali e a piantare i semi del futuro di Wolfenstein.
Dal momento che parliamo pur sempre di un videogioco e non di una soap o un romanzo di formazione, non passa molto tempo prima che il corso degli eventi compia una brusca deviazione verso l’assurdo; BJ scompare e alle gemelle non resta che prendere in mano la situazione e, scoperti alcuni indizi sulla sua sparizione, mettersi in cerca del genitore.
Essendo delle Blazkowicz, non sgattaioleranno fuori casa rubando l’auto dei genitori ma piuttosto ruberanno un elicottero militare dirigendosi verso la Francia occupata dai nazisti, per liberare il padre e, ovviamente, uccidere un po’ di tedeschi.
La storia procede senza grandi scossoni, eccezion fatta per il colpo di scena in apertura, senza brillare particolarmente. Soltanto verso la fine del gioco, della durata indicativa di 7-8 ore, si ha la sensazione di trovarsi in presenza di una trama che possa proseguire in altri capitoli.
Tornando alle nostre protagoniste, sono agli antipodi rispetto i loro genitori, contribuendo al fascino di Youngblood; niente più monologhi interiori alla BJ, al centro dei nuovi capitoli di Wolfenstein, e nessun richiamo al carattere bellicoso di Anya, forgiato da anni di assistere alla malvagità del regime nazista.
Jess e Sophia hanno caratterizzazioni diverse, dal momento che conoscono soltanto il mondo post-bellico e sono probabilmente cresciute in un ambiente domestico stabile. Impersonano lo spirito di una giovinezza spensierata pur condividendo con i genitori le stesse motivazioni che le spingono a uccidere i nazisti.
Gameplay
Nei panni di Jessica o Sophia (con la sorella rimanente comandata dall’altro giocatore o dalla IA), equipaggiate con le tute da battaglia Da’at Yichud già viste in New Colossus, al giocatore non resta che unirsi alla resistenza francese di Neu Paris e attaccare avamposti e fortezze naziste.
Come detto, sfruttando il legame inseparabile tra Jessica e Sophia, la cooperazione è al centro dell’esperienza di gioco, con la possibilità di giocare sia in locale che online.
Avviando la partita come host, sia amici che giocatori random potranno unirsi alla nostra sessione senza interruzioni; l’intelligenza artificiale assumerà infatti il controllo del nostro partner finchè un giocatore non si unirà a noi e farà lo stesso quando il nostro compagno abbandonerà la partita.
Se entrambi i giocatori hanno la stessa missione sul proprio log, il suo completamento verrà registrato per entrambi; se invece preferisci andare avanti da solo, accompagnato solo da una IA abbastanza decente, anche questa è un’ opzione percorribile lungo l’intero gioco.
Nonostante la modificata formula di gioco, Youngblood restituisce intatta la sensazione familiare della saga data dal rubare un fucile automatico a un nazista morto, sciogliere un super soldato corazzato con un fucile laser o eliminare un nugolo di nemici con un’arma energetica.
Ora i nemici più forti hanno uno o due pezzi dell’armatura che sono deboli nei confronti di determinate armi, incoraggiandoci ad utilizzare al meglio il nostro ampio arsenale. Allo stesso modo, un sistema di upgrade delle armi rivisitato ci consente di personalizzare al meglio armi già familiari, così da renderle più efficaci in battaglia.
Sono presenti anche degli elementi GDR, non troppo marcati, all’interno del sistema di crescita del personaggio; sarà possibile accumulare XP in combattimento da utilizzare per acquisire nuove abilità o migliorare quelle esistenti, come aumentare la salute o l’armatura o estendere la durata dell’invisibilità,…
Il progresso del nostro personaggio andrà di pari passo con quello del nemico, così da costituire una sfida sempre adeguata e farci sentire man mano più devastanti senza tuttavia raggiungere livelli di onnipotenza.
Un solido sistema di sparatorie, unito a delle meccaniche pulite, non basta se non è accompagnato e completato da adeguati combattimenti, e sotto questo punto di vista Youngblood non ha difetti. Ci troveremo spesso ad avere eliminato quasi tutti gli ostacoli che si frappongono tra noi e il completamento della missione, per realizzare che dovremo ritirarci e rivedere il nostro approccio al compito in svolgimento, segno che il lavoro dei programmatori è stato ben approfondito e il gioco non va preso sottogamba.
Un approccio del tutto stealth non è remunerativo rispetto a quanto eravamo abituati nei precedenti Wolfenstein, nonostante la nuova abilità di mimetizzazione, tuttavia è un buon metodo per sfoltire i ranghi nemici prima di avanzare a fucili spianati.
Anche se potrebbe sembrare impossibile andare avanti quando mecha, supersoldati e panzerhund si scatenano tutti insieme, è proprio in questi frangenti che Youngblood da il meglio di se.
Conflitti a fuoco intensi possono scoppiare in qualsiasi momento senza avvertimento e le missioni principali cercano di mantenere sempre alta la tensione e il livello di azione.
Va detto, al netto delle considerazioni fin qui esposte, che gli elementi incentrati sulla cooperazione sono abbastanza rari; le due sorelle hanno a disposizione delle animazioni e delle battute motivazionali, chiamate pep signal, in grado di farci recuperare punti salute o armatura alla bisogna.
Questo è praticamente tutto quello che abbiamo a disposizione nel gioco, sono del tutto assenti attacchi congiunti o abilità di squadra. Un’assenza che ha il retrogusto di un’occasione mancata.
Durante la furia della battaglia entrambi i giocatori saranno impegnati a resuscitarsi l’un l’altro, pena l’utilizzo delle vite condivise che qui prendono il posto dei tradizionali checkpoint.
Per quanto possa essere frustrante arrivare alla fine di una missione, esaurire le vite condivise ed essere rispediti all’inizio del livello è pur sempre un tentativo per spingere i giocatori alla cooperazione e all’utilizzo di un gameplay più improntato alla tattica che non all’azione pura e semplice.
Youngblood riesce ad introdurre nella serie una struttura aperta, rendendo Neu Paris un conglomerato di distretti separati in cui trovare le varie missioni. Il tutto viene presentato in maniera convincente subito dopo una breve introduzione, quando ci viene chiesto di distruggere tre torri attaccate ai vari hub.
In ogni caso, camminando per strada, missioni secondarie ed eventi casuali riempiranno i buchi tra una missione e l’altra, consentendoci di accumulare XP e familiarizzare con i distretti, immergendoci nella Parigi di questo 1980 alternativo.
Parlando dei distretti, il loro design è molto ben fatto e a tratti richiama il lavoro fatto da Arkane Studios’ su Dishonored; anche qui capita di spostarsi tra i tetti con doppi salti e cercare collezionabili e ceste di valuta. Con questa scelta i programmatori sono riusciti ad aggiungere una dimensione verticale al gameplay, dandoci anche l’opportunità di sfruttare al meglio le tute Da’at Yichud, i designer sono quindi riusciti ad riportare in questo titolo i punti di forza dei loro precedenti lavori.
Trattandosi di Parigi, non possono mancare le sue celebri catacombe: in Youngblood fungono da hub sicuri, dove potremo accettare side quest, stipare munizioni e giocare con i vecchi cabinati di Wolfenstein 3D. Non si tratta di uno spazio ampio come l’U-boat di New Colossus e i suoi abitanti non faranno altro che assegnarci missioni secondarie, ma tutto sommato è soltanto il luogo in cui Jessica, Sophia e Abby vanno per riposarsi e prendere nuovi incarichi.
Segnali di Stile
Il design di Parigi e delle fortezze tipiche di Wolfenstein si mantiene su alti livelli, appoggiandosi sulle solide fondamenta di IdTech, giunto per l’occasione alla sesta revisione.
L’unica parziale caduta di stile viene proprio dalla collocazione temporale del gioco; pur trattandosi di un’ucronia a tinte fosche, ci si sarebbe aspettato di più dagli anni ’80 di Wolfenstein. Tolti pochi elementi, potremmo essere in qualsiasi decennio del XX secolo con pochi elementi a caratterizzare la Parigi occupata. Mancano anche molti dei punti di riferimento della capitale francese, che risulta più anonima di quanto non fosse ai tempi del secondo conflitto mondiale, segno che forse il basso prezzo del gioco all’uscita ha influito sul budget concesso agli sviluppatori.
Funziona bene il comparto audio, complice un ottimo doppiaggio e la presenza di tracce synthpop, queste sì, riecheggianti gli anni ’80.